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III ASSEMBLEA GENERALE STRAORDINARIA LE SFIDE PASTORALI SULLA FAMIGLIA NEL CONTESTO DELL’EVANGELIZZAZIONE INSTRUMENTUM LABORIS - A. Situazioni familiari

 

A. Situazioni familiari

80. Dalle risposte emerge la comune considerazione che, nell’ambito di quelle che possono definirsi situazioni matrimoniali difficili, si celano storie di grande sofferenza, come pure testimonianze di sincero amore. «La Chiesa è chiamata ad essere sempre la casa aperta del Padre. […] la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa» (EG 47). La vera urgenza pastorale è quella di permettere a queste persone di curare le ferite, di guarire e di riprendere a camminare insieme a tutta la comunità ecclesiale. La misericordia di Dio non provvede ad una copertura temporanea del nostro male, altresì, apre radicalmente la vita alla riconciliazione, conferendole nuova fiducia e serenità, mediante un vero rinnovamento. La pastorale familiare, lungi dal chiudersi in uno sguardo legalista, ha la missione di ricordare la grande vocazione all’amore a cui la persona è chiamata, e di aiutarla a vivere all’altezza della sua dignità.

Le convivenze

81. Nelle risposte provenienti da tutte le aree geografiche, si rileva il numero crescente di coppie che convivono ad experimentum, senza alcun matrimonio né canonico né civile e senza alcuna registrazione. Soprattutto in Europa e in America, il termine è considerato improprio, in quanto spesso non si tratta di un “esperimento”, ovvero di un periodo di prova, ma di una forma stabile di vita. Talvolta, il matrimonio avviene dopo la nascita del primo bambino, in modo che nozze e battesimo si celebrino insieme. Le statistiche tendono a notare un’incidenza alta di tale realtà: si sottolinea una certa differenza tra zone rurali (convivenze più scarse) e zone urbane (ad esempio in Europa, Asia, America Latina). La convivenza è più comune in Europa e in America del Nord, in crescita in America Latina, quasi inesistente nei Paesi Arabi, minore in Asia. In alcune zone dell’America Latina, la convivenza è piuttosto un’abitudine rurale, integrata nella cultura indigena (servinacuy: matrimonio a prova). In Africa si pratica il matrimonio a tappe, legato alla comprovazione della fecondità della donna, che implica una sorta di legame tra le due famiglie in questione. Nel contesto europeo, le situazioni della convivenza sono molto diversificate; da una parte, si risente talvolta dell’influsso dell’ideologia marxista; altrove, si configura come una opzione morale giustificata.

82. Tra le ragioni sociali che portano alla convivenza si registrano: politiche familiari inadeguate a sostenere la famiglia; problemi finanziari; disoccupazione giovanile; mancanza di un’abitazione. Da questi ed altri fattori consegue la tendenza a dilazionare il matrimonio. In tal senso, gioca un ruolo anche il timore circa l’impegno che comporta l’accoglienza dei figli (in particolare in Europa e in America Latina). Molti pensano che nella convivenza si possa “testare” l’eventuale riuscita del matrimonio, prima di celebrare le nozze. Altri indicano come motivo a favore della convivenza, la scarsa formazione sul matrimonio. Per molti altri ancora la convivenza rappresenta la possibilità di vivere insieme senza alcuna decisione definitiva o impegnativa a livello istituzionale. Tra le linee di azione pastorale proposte troviamo le seguenti: offrire, fin dall’adolescenza, un percorso che apprezzi la bellezza del matrimonio; formare operatori pastorali sui temi del matrimonio e della famiglia. Si segnala anche la testimonianza di gruppi di giovani che si preparano al matrimonio con un fidanzamento vissuto in castità.

Le unioni di fatto

83. Le convivenze ad experimentum, molto spesso, corrispondono ad unioni libere di fatto, senza riconoscimento civile o religioso. Si deve tener conto che il riconoscimento civile di tali forme, in alcuni Paesi, non equivale al matrimonio, in quanto esiste una legislazione specifica sulle unioni libere di fatto. Nonostante ciò cresce il numero delle coppie che non chiedono alcuna forma di registrazione. Nei Paesi occidentali – si segnala –, la società ormai non vede più questa situazione come problematica. In altri (ad esempio, nei Paesi Arabi), rimane invece molto raro un matrimonio senza riconoscimento civile e religioso. Tra i motivi di tale situazione si segnalano, principalmente nei Paesi occidentali, il mancato aiuto da parte dello Stato, per il quale la famiglia non ha più un valore particolare; la percezione dell’amore come fatto privato senza ruolo pubblico; la mancanza di politiche familiari, per cui si percepisce lo sposarsi come una perdita economica. Un problema particolare è costituito dagli immigrati, soprattutto quando illegali, perché temono di essere identificati come tali nel momento in cui cercassero riconoscimento pubblico del loro matrimonio.

84. Legata al modo di vita dell’Occidente, ma diffusa anche in altri Paesi, appare un’idea di libertà che considera il legame matrimoniale una perdita della libertà della persona; incide la scarsa formazione dei giovani, che non pensano sia possibile un amore per tutta la vita; inoltre, i media promuovono ampiamente questo stile di vita tra i giovani. Spesso, la convivenza e le unioni libere sono sintomo del fatto che i giovani tendono a prolungare la loro adolescenza e pensano che il matrimonio sia troppo impegnativo, hanno paura davanti a un’avventura troppo grande per loro (cf. Papa Francesco, Discorso ai fidanzati del 14 febbraio 2014).

85. Tra le possibili linee di azione pastorale, al riguardo, si ritiene essenziale aiutare i giovani ad uscire da una visione romantica dell’amore, percepito solo come un sentimento intenso verso l’altro, e non come risposta personale ad un’altra persona, nell’ambito di un progetto comune di vita, in cui si dischiude un grande mistero e una grande promessa. I percorsi pastorali devono farsi carico dell’educazione all’affettività, con un processo remoto che inizi già nell’infanzia, come anche di un sostegno ai giovani nelle fasi del fidanzamento, mostrandone il rilievo comunitario e liturgico. Occorre insegnare loro ad aprirsi al mistero del Creatore, che si manifesta nel loro amore, perché comprendano la portata del loro consenso; bisogna ricuperare il legame tra famiglia e società, per uscire da una visione isolata dell’amore; infine, si deve trasmettere ai giovani la certezza che non sono soli nel costruire la propria famiglia, perché la Chiesa li affianca come “famiglia di famiglie”. Decisiva, al riguardo, è la dimensione della “compagnia”, mediante la quale la Chiesa si manifesta come presenza amorevole, che si prende particolare cura dei fidanzati, incoraggiandoli a farsi compagni di strada, tra loro e con gli altri.

Separati, divorziati e divorziati risposati

86. Dalle risposte risulta che la realtà dei separati, divorziati e divorziati risposati è rilevante in Europa e in tutta l’America; molto meno in Africa e in Asia. Dato il fenomeno in crescita di queste situazioni, molti genitori sono preoccupati per il futuro dei loro figli. Inoltre, viene notato che il numero crescente di conviventi rende il problema dei divorzi meno rilevante: la gente gradatamente divorzia di meno, perché in realtà tende a sposarsi sempre di meno. In certi contesti, la situazione è diversa: non c’è divorzio perché non c’è matrimonio civile (nei Paesi Arabi e in qualche Paese dell’Asia).

I figli e coloro che restano soli

87. Un’altra questione sollevata è quella riguardante i figli dei separati e dei divorziati. Si nota che da parte della società manca un’attenzione nei loro confronti. Su di essi ricade il peso dei conflitti matrimoniali di cui la Chiesa è chiamata a prendersi cura. Anche i genitori dei divorziati, che soffrono le conseguenze della rottura del matrimonio e spesso devono supplire ai disagi della situazione di questi figli, devono essere sostenuti da parte della Chiesa. Circa i divorziati e i separati che restano fedeli al vincolo matrimoniale si richiede ancora un’ attenzione per la loro situazione che spesso è vissuta in solitudine e povertà. Risulta che questi sono pure i “nuovi poveri”.

Le ragazze madri

88. Un’attenzione particolare va data alle madri che non hanno marito e si prendono cura da sole dei figli. La loro condizione è spesso il risultato di storie molto sofferte, non di rado di abbandono. Vanno ammirati anzitutto l’amore e il coraggio con cui hanno accolto la vita concepita nel loro grembo e con cui provvedono alla crescita e all’educazione dei loro figli. Da parte della società civile esse meritano un sostegno speciale, che tenga conto dei tanti sacrifici che affrontano. Da parte della comunità cristiana, poi, va prestata una sollecitudine che faccia loro percepire la Chiesa come vera famiglia dei figli di Dio.

Situazioni di irregolarità canonica

89. In linea generale, in varie aree geografiche, le risposte si concentrano soprattutto sui divorziati risposati, o comunque in nuova unione. Tra quelli che vivono in situazione canonicamente irregolare, si riscontrano diversi atteggiamenti, che vanno dalla mancanza di consapevolezza della propria situazione alla indifferenza, oppure ad una consapevole sofferenza. Gli atteggiamenti dei divorziati in nuova unione sono per lo più simili nei diversi contesti regionali, con un particolare rilievo in Europa e in America, e minore in Africa. Al riguardo, alcune risposte attribuiscono questa situazione alla formazione carente o alla scarsa pratica religiosa. In America del Nord, la gente pensa spesso che la Chiesa non sia più una guida morale affidabile, soprattutto per le questioni della famiglia, considerata come materia privata su cui decidere autonomamente.

90. Piuttosto consistente è il numero di coloro che considerano con noncuranza la propria situazione irregolare. In questo caso, non vi è alcuna richiesta di ammissione alla comunione eucaristica, né di poter celebrare il sacramento della riconciliazione. La consapevolezza della situazione irregolare si manifesta spesso quando interviene il desiderio dell’iniziazione cristiana per i figli, o se sopraggiunge la richiesta di partecipare ad una celebrazione di battesimo o cresima come padrino o madrina. A volte persone adulte che pervengono ad una fede personale e consapevole nel cammino catechistico o quasi catecumenale scoprono il problema della loro irregolarità. Dal punto di vista pastorale, queste situazioni vengono considerate una buona opportunità per cominciare un itinerario di regolarizzazione, soprattutto nei casi delle convivenze. Una situazione diversa viene segnalata in Africa, non tanto riguardo ai divorziati in nuova unione, ma in relazione alla pratica della poligamia. Ci sono casi di convertiti per i quali è difficile abbandonare la seconda o terza moglie, con cui si hanno ormai dei figli, e che vogliono partecipare alla vita ecclesiale.

91. Prima di entrare in merito alla sofferenza legata al non poter ricevere i sacramenti da parte di coloro che sono in situazione di irregolarità, viene segnalata una sofferenza più originaria, di cui la Chiesa deve farsi carico, ovvero quella legata al fallimento del matrimonio e alla difficoltà di regolarizzare la situazione. Qualcuno rileva, in questa crisi, il desiderio di rivolgersi alla Chiesa per un aiuto. La sofferenza sembra spesso legata ai diversi livelli di formazione – come segnalano diverse Conferenze Episcopali in Europa, Africa e America. Spesso non si coglie il rapporto intrinseco tra matrimonio, Eucaristia e penitenza; pertanto, risulta assai difficile comprendere perché la Chiesa non ammetta alla comunione coloro che si trovano in una condizione irregolare. I percorsi catechetici sul matrimonio non spiegano sufficientemente questo legame. In alcune risposte (America, Europa dell’Est, Asia), si evidenzia come a volte si ritenga, erroneamente, che il divorzio come tale, anche se non si vive in nuova unione, renda automaticamente impossibile accedere alla comunione. In tal modo si rimane, senza alcun motivo, privi dei sacramenti.

92. La sofferenza causata dal non ricevere i sacramenti è presente con chiarezza nei battezzati che sono consapevoli della propria situazione. Tanti sentono frustrazione e si sentono emarginati. C’è chi si domanda perché gli altri peccati si perdonano e questo no; oppure perché i religiosi e sacerdoti che hanno ricevuto la dispensa dai loro voti e dagli oneri sacerdotali possono celebrare il matrimonio, ricevere la comunione e i divorziati risposati no. Tutto questo evidenzia la necessità di opportuna formazione e informazione. In altri casi, non si percepisce come sia la propria situazione irregolare il motivo per non poter ricevere i sacramenti; piuttosto, si ritiene che la colpa sia della Chiesa che non ammette tali circostanze. In ciò, si segnala anche il rischio di una mentalità rivendicativa nei confronti dei sacramenti. Inoltre, assai preoccupante risulta essere l’incomprensione della disciplina della Chiesa quando nega l’accesso ai sacramenti in questi casi, come se si trattasse di una punizione. Un buon numero di Conferenze Episcopali suggerisce di aiutare le persone in situazione canonicamente irregolare a non ritenersi «separati dalla Chiesa, potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla sua vita» (FC 84). Inoltre, ci sono risposte ed osservazioni, da parte di alcune Conferenze Episcopali, che mettono l’accento sulla necessità che la Chiesa si doti di strumenti pastorali mediante i quali aprire la possibilità di esercitare una più ampia misericordia, clemenza e indulgenza nei confronti delle nuove unioni.

Circa l’accesso ai sacramenti

93. Circa l’accesso ai sacramenti, si riscontrano reazioni differenziate da parte dei fedeli divorziati risposati. In Europa (ma anche in qualche Paese di America Latina ed Asia), prevale la tendenza a risolvere la questione attraverso qualche sacerdote che accondiscenda alla richiesta di accesso ai sacramenti. A questo proposito, si segnala (in particolare in Europa e in America Latina) un diverso modo di rispondere da parte dei pastori. Talvolta questi fedeli si allontanano dalla Chiesa o passano ad altre confessioni cristiane. In vari Paesi, non solo europei, questa soluzione individuale a molte persone non basta, in quanto aspirano ad una pubblica riammissione ai sacramenti da parte della Chiesa. Il problema non è tanto quello di non poter ricevere la comunione, ma il fatto che la Chiesa pubblicamente non li ammetta ad essa, cosicché sembra che questi fedeli semplicemente rifiutino di essere considerati in situazione irregolare.

94. Nelle comunità ecclesiali sono presenti persone che, trovandosi in situazione canonicamente irregolare, chiedono di essere accolte ed accompagnate nella loro condizione. Questo avviene specialmente quando si cerca di rendere ragionevole l’insegnamento della Chiesa. In simili circostanze è possibile che tali fedeli vivano la loro condizione sostenuti dalla misericordia di Dio, di cui la Chiesa si fa strumento. Altri ancora, come viene segnalato da alcune Conferenze Episcopali dell’area euroatlantica, accettano l’impegno di vivere in continenza (cf. FC 84).

95. Molte delle risposte pervenute segnalano che in tanti casi si riscontra una richiesta chiara di poter ricevere i sacramenti dell’Eucaristia e della Penitenza, specie in Europa, in America e in qualche Paese dell’Africa. La richiesta si fa più insistente soprattutto in occasione della celebrazione dei sacramenti da parte dei figli. A volte si desidera l’ammissione alla comunione come per essere “legittimati” dalla Chiesa, eliminando il senso di esclusione o di marginalizzazione. Al riguardo, alcuni suggeriscono di considerare la prassi di alcune Chiese ortodosse, che, secondo la loro opinione, apre la strada a un secondo o terzo matrimonio con carattere penitenziale; a questo proposito, dai Paesi di maggioranza ortodossa, si segnala come l’esperienza di tali soluzioni non impedisca l’aumento dei divorzi. Altri domandano di chiarire se la questione è di carattere dottrinale o solo disciplinare.

Altre richieste

96. In tanti casi, segnalati in particolare in Europa e in America del Nord, si chiede di snellire la procedura per la nullità matrimoniale; a questo riguardo, si indica la necessità di approfondire la questione del rapporto tra fede e sacramento del matrimonio – come suggerito a più riprese da Benedetto XVI. Nei Paesi a maggioranza ortodossa, si segnala il caso di cattolici che si risposano nella Chiesa ortodossa, secondo la prassi in essa vigente, e poi chiedono di accostarsi alla comunione nella Chiesa cattolica. Infine, altre istanze avanzano la richiesta di precisare la prassi da seguire nei casi di matrimoni misti, in cui il coniuge ortodosso è già stato sposato ed ha ottenuto il permesso per le seconde nozze dalla Chiesa ortodossa.

Circa i separati e i divorziati

97. In varie risposte e osservazioni, si mette in evidenza la necessità di porre più attenzione ai separati e ai divorziati non risposati fedeli al vincolo nuziale. Sembra che costoro spesso debbano aggiungere alla sofferenza del fallimento matrimoniale quella di non essere considerati convenientemente dalla Chiesa e pertanto di venire trascurati. Si nota che anch’essi hanno le loro difficoltà e il bisogno di essere accompagnati pastoralmente. Inoltre, si fa presente l’importanza di verificare l’eventuale nullità matrimoniale con particolare cura da parte dei pastori, al fine di non introdurre cause senza attento discernimento. In tale contesto, si trovano richieste di promuovere maggiormente una pastorale della riconciliazione, che si faccia carico delle possibilità di riunire i coniugi separati. Alcuni fanno notare che l’accettazione coraggiosa della condizione di separati rimasti fedeli al vincolo, segnata da sofferenza e solitudine, costituisce una grande testimonianza cristiana.

Semplificazione delle cause matrimoniali

98. Esiste un’ampia richiesta di semplificazione della prassi canonica delle cause matrimoniali. Le posizioni sono diversificate: alcune affermano che lo snellimento non sarebbe un rimedio valido; altre, a favore dello snellimento, invitano a spiegare bene la natura del processo di dichiarazione di nullità, per una migliore comprensione di esso da parte dei fedeli.

99. Alcuni invitano alla prudenza, segnalando il rischio che tale snellimento e semplificando o riducendo i passi previsti, si producano ingiustizie ed errori; si dia l’impressione di non rispettare l’indissolubilità del sacramento; si favorisca l’abuso e si ostacoli la formazione dei giovani al matrimonio come impegno di tutta la vita; si alimenti l’idea di un “divorzio cattolico”. Propongono, invece, di preparare un numero adeguato di persone qualificate per seguire i casi; e, in America Latina, Africa e Asia, si avanza la richiesta di incrementare il numero dei tribunali – assenti in tante regioni –, e di concedere maggiore autorità alle istanze locali, formando meglio i sacerdoti. Altre risposte relativizzano la rilevanza di tale possibilità di snellimento, in quanto spesso i fedeli accettano la validità del loro matrimonio, riconoscendo che si tratta di un fallimento e non considerano onesto chiedere la dichiarazione di nullità. Molti fedeli considerano però valido il loro primo matrimonio perché non conoscono i motivi di invalidità. Talvolta, da parte di coloro che hanno divorziato, emerge la difficoltà di tornare sul passato, che potrebbe riaprire ferite dolorose personali e per il coniuge.

100. Molti avanzano richieste circa lo snellimento: processo canonico semplificato e più rapido; concessione di maggior autorità al vescovo locale; maggiore accesso dei laici come giudici; riduzione del costo economico del processo. In particolare, alcuni propongono di riconsiderare se sia veramente necessaria la doppia sentenza conforme, almeno quando non c’è richiesta di appello, obbligando però all’appello in certi casi il difensore del vincolo. Si propone anche di decentralizzare la terza istanza. In tutte le aree geografiche, si chiede un’impostazione più pastorale nei tribunali ecclesiastici, con una maggiore attenzione spirituale nei confronti delle persone.

101. Nelle risposte e nelle osservazioni, tenendo conto della vastità del problema pastorale dei fallimenti matrimoniali, ci si chiede se sia possibile far fronte ad esso soltanto per via processuale giudiziale. Si avanza la proposta di intraprendere una via amministrativa. In alcuni casi si propone di procedere a una verifica della coscienza delle persone interessate all’accertamento della nullità del vincolo. L’interrogativo è se vi siano altri strumenti pastorali per verificare la validità del matrimonio, da parte di presbiteri a ciò deputati. In generale, viene sollecitata una maggiore formazione specifica degli agenti pastorali in questo campo, in modo che i fedeli possano essere opportunamente aiutati.

102. Una più adeguata formazione dei fedeli riguardo ai processi di nullità aiuterebbe, in alcuni casi, ad eliminare difficoltà, come ad esempio quella di genitori che temono che un matrimonio nullo renda illegittimi i figli – segnalata da alcune Conferenze Episcopali africane. In molte risposte si insiste sul fatto che snellire il processo canonico sia utile solo se si affronta in modo integrale la pastorale familiare. Da parte di alcune Conferenze Episcopali asiatiche, si segnala il caso di matrimoni con non cristiani, che non vogliono cooperare al processo canonico.

La cura delle situazioni difficili

103. La carità pastorale spinge la Chiesa ad accompagnare le persone che hanno subito un fallimento matrimoniale e ad aiutarle a vivere la loro situazione con la grazia di Cristo. Una ferita più dolorosa si apre per le persone che si risposano entrando in uno stato di vita che non permette loro l’accesso alla comunione. Certamente, in questi casi, la Chiesa non deve assumere l’atteggiamento di giudice che condanna (cf. Papa Francesco, Omelia del 28 febbraio 2014), ma quello di una madre che sempre accoglie i suoi figli e cura le loro ferite in vista della guarigione (cf. EG 139-141). Con grande misericordia, la Chiesa è chiamata a trovare forme di “compagnia” con cui sostenere questi suoi figli in un percorso di riconciliazione. Con comprensione e pazienza, è importante spiegare che il non poter accedere ai sacramenti non significa essere esclusi dalla vita cristiana e dal rapporto con Dio.

104. In riferimento a queste situazioni complesse, tante risposte evidenziano la mancanza di un servizio di assistenza specifica nelle diocesi per queste persone. Molte Conferenze Episcopali ricordano l’importanza di offrire a questi fedeli una partecipazione attiva alla vita della Chiesa, attraverso gruppi di preghiera, momenti liturgici e attività caritative. Si indicano inoltre alcune iniziative pastorali, come per esempio una benedizione personale a chi non può ricevere l’Eucaristia o l’incoraggiamento alla partecipazione dei figli alla vita parrocchiale. Si sottolinea il ruolo dei movimenti di spiritualità coniugale, degli ordini religiosi e delle commissioni parrocchiali per la famiglia. Significativa è la raccomandazione della preghiera per le situazioni difficili, all’interno delle liturgie parrocchiali e diocesane, nella preghiera universale.

Non praticanti e non credenti che chiedono il matrimonio

105. Nel contesto delle situazioni difficili, la Chiesa s’interroga anche sull’azione pastorale da intraprendere nei confronti di quei battezzati che, sebbene non siano praticanti né credenti, chiedono di poter celebrare in chiesa il loro matrimonio. La quasi totalità delle risposte ha evidenziato che è molto più comune il caso di due cattolici non praticanti che decidono di contrarre matrimonio religioso, rispetto a quello di due non credenti dichiarati che richiedono il medesimo sacramento. Quest’ultima eventualità, seppur non ritenuta impossibile, è considerata assai remota. Più comune, invece, la richiesta di celebrazione canonica tra due nubendi, di cui uno solo cattolico, e spesso non praticante. Le motivazioni che inducono i cattolici non praticanti a riprendere i contatti con le proprie parrocchie, in vista della celebrazione del matrimonio, a giudizio di tutte le risposte che affrontano questo punto, nella maggioranza dei casi, risiedono nel fascino legato all’“estetica” della celebrazione (atmosfera, suggestione, servizio fotografico, ecc.) e, parimenti, in un condizionamento proveniente dalla tradizione religiosa delle famiglie di appartenenza dei nubendi. Molte volte la festa e gli aspetti esteriori tradizionali prevalgono sulla liturgia e sull’essenza cristiana di quanto viene celebrato. L’unanimità delle risposte indica questa opportunità come una occasione propizia per l’evangelizzazione della coppia, raccomandando, in tal senso, la massima accoglienza e disponibilità da parte dei parroci e degli operatori della pastorale familiare.

106. Secondo un cospicuo numero di risposte, e ancor più di osservazioni, di varia provenienza geografica, la preparazione al matrimonio religioso non dovrebbe comportare solo momenti catechistici, ma anche occasioni di scambio e di conoscenza tra le persone, che i pastori potrebbero favorire maggiormente. D’altra parte, varie risposte, sia dall’Oriente che dall’Occidente, hanno riscontrato una certa frustrazione da parte di alcuni parroci nel vedere molto spesso un innegabile insuccesso del loro sforzo pastorale, dal momento che un numero molto esiguo di coppie continua a mantenere qualche rapporto con la parrocchia di riferimento, dopo la celebrazione del matrimonio.

107. Molte risposte hanno denunciato una diffusa inadeguatezza degli attuali cammini formativi matrimoniali a condurre i nubendi ad una vera visione di fede. Gli incontri, nella maggioranza dei casi, sono impostati e recepiti come unicamente funzionali alla recezione del sacramento. Proprio perché tra i non praticanti, al termine dell’accompagnamento formativo previo alla ricezione del matrimonio, si è riscontrata un’alta percentuale di ritorno al precedente stato di vita, si è avvertita la necessità – specialmente in America Latina – di migliorare, incentivare e approfondire la pastorale e l’evangelizzazione dei bambini e della gioventù in genere. Quando una coppia di credenti non praticanti riprende contatto con la parrocchia, per la celebrazione del matrimonio, si evidenzia, da più parti, che il tempo per riprendere un autentico cammino di fede non è sufficiente, pur prendendo parte agli incontri pre-matrimoniali.

108. Imprescindibile, infatti, secondo la maggioranza delle risposte, è giudicata la necessità di seguire la coppia anche dopo il matrimonio, attraverso incontri mirati di accompagnamento. Inoltre, specialmente dalle Conferenze Episcopali dell’Europa occidentale e meridionale, è stata ribadita con una certa forza, in particolari casi di immaturità da parte dei nubendi, la necessità di valutare la scelta di sposarsi senza la celebrazione dell’Eucaristia. Secondo alcuni episcopati dell’Europa del Nord e dell’America settentrionale, quando si è posti di fronte all’evidenza che la coppia non capisca o non accetti gli insegnamenti basilari della Chiesa riguardo ai beni del matrimonio ed ai relativi impegni, sarebbe opportuno suggerire di posticipare la celebrazione delle nozze, pur sapendo già in anticipo di indurre con questo genere di proposta a incomprensioni e malumori. Tale soluzione comporterebbe anche il pericolo di un rigorismo poco misericordioso.

109. Alcuni episcopati dell’Asia orientale e meridionale riferiscono di richiedere come prerequisito alla celebrazione del matrimonio una partecipazione attiva alla vita pastorale della parrocchia. Anche in questo caso, tuttavia, si è riscontrata nella stragrande maggioranza dei casi la cessazione di tale partecipazione, una volta ottenuta la celebrazione del sacramento. Generalmente si riscontra una universale disomogeneità, già all’interno delle singole diocesi, per quanto riguarda la cura, la preparazione e l’organizzazione degli incontri formativi precedenti alla celebrazione del matrimonio. Quasi sempre, tutto viene demandato alle iniziative, felici o meno, dei singoli pastori. Una Conferenza Episcopale europea tratteggia lo stile e il modo con cui si dovrebbero tenere gli incontri in preparazione al matrimonio attraverso una sequenza di verbi programmatici: proporre, non imporre; accompagnare, non spingere; invitare, non espellere; inquietare, mai disilludere.

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