Testo integrale della Relazione finale del Sinodo - PARTE III - LA MISSIONE DELLA FAMIGLIA
III PARTE
LA MISSIONE DELLA FAMIGLIA
56. Fin dall’inizio della storia, Dio è stato prodigo di amore nei riguardi dei suoi figli (cf. LG, 2), così che essi hanno potuto avere la pienezza della vita in Gesù Cristo (cf. Gv 10,10). Attraverso i sacramenti dell’Iniziazione Cristiana, Dio invita le famiglie a introdursi in questa vita, a proclamarla e a comunicarla agli altri (cf. LG, 41). Come Papa Francesco ci ricorda con forza, la missione della famiglia si estende sempre al di fuori nel servizio ai nostri fratelli e sorelle. È la missione della Chiesa alla quale ciascuna famiglia è chiamata a partecipare in modo unico e privilegiato. «In virtù del Battesimo ricevuto, ogni membro del Popolo di Dio è diventato discepolo missionario» (EG, 120). In tutto il mondo, nella realtà delle famiglie, possiamo vedere tanta felicità e gioia, ma anche tante sofferenze e angosce. Vogliamo guardare a questa realtà con gli occhi con cui anche Cristo la guardava quando camminava tra gli uomini del suo tempo. Il nostro atteggiamento vuole essere di umile comprensione. Il nostro desiderio è di accompagnare ciascuna e tutte le famiglie perché scoprano la via migliore per superare le difficoltà che incontrano sul loro cammino. Il Vangelo è sempre anche segno di contraddizione. La Chiesa non dimentica mai che il mistero pasquale è centrale nella Buona Notizia che annunciamo. Essa desidera aiutare le famiglie a riconoscere e ad accogliere la croce quando si presenta davanti a loro, perché possano portarla con Cristo nel cammino verso la gioia della risurrezione. Questo lavoro richiede «una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno» (EG, 25). La conversione poi tocca profondamente lo stile e il linguaggio. È necessario adottare un linguaggio che sia significativo. L’annunzio deve far sperimentare che il Vangelo della famiglia è risposta alle attese più profonde della persona umana: alla sua dignità e alla realizzazione piena nella reciprocità, nella comunione e nella fecondità. Non si tratta soltanto di presentare una normativa, ma di annunciare la grazia che dona la capacità di vivere i beni della famiglia. La trasmissione della fede rende oggi più che mai necessario un linguaggio in grado di raggiungere tutti, specialmente i giovani, per comunicare la bellezza dell’amore familiare e far comprendere il significato di termini come donazione, amore coniugale, fedeltà, fecondità, procreazione. Il bisogno di un nuovo e più adeguato linguaggio si presenta innanzitutto nel momento di introdurre i bambini e gli adolescenti al tema della sessualità. Molti genitori e molte persone che sono impegnati nella pastorale hanno difficoltà a trovare un linguaggio appropriato e al tempo stesso rispettoso, che metta insieme la natura della sessualità biologica con la complementarità che si arricchisce reciprocamente, con l’amicizia, con l’amore e con la donazione dell’uomo e della donna.
Capitolo I
La formazione della famiglia
La preparazione al matrimonio
57. Il matrimonio cristiano non può ridursi ad una tradizione culturale o a una semplice convenzione giuridica: è una vera chiamata di Dio che esige attento discernimento, preghiera costante e maturazione adeguata. Per questo occorrono percorsi formativi che accompagnino la persona e la coppia in modo che alla comunicazione dei contenuti della fede si unisca l’esperienza di vita offerta dall’intera comunità ecclesiale. L’efficacia di questo aiuto richiede anche che sia migliorata la catechesi prematrimoniale – talvolta povera di contenuti – che è parte integrante della pastorale ordinaria. Anche la pastorale dei nubendi deve inserirsi nell’impegno generale della comunità cristiana a presentare in modo adeguato e convincente il messaggio evangelico circa la dignità della persona, la sua libertà e il rispetto per i suoi diritti. Vanno tenute ben presenti le tre tappe indicate da Familiaris Consortio (cf. 66): la preparazione remota, che passa attraverso la trasmissione della fede e dei valori cristiani all’interno della propria famiglia; la preparazione prossima, che coincide con gli itinerari di catechesi e le esperienze formative vissute all’interno della comunità ecclesiale; la preparazione immediata al matrimonio, parte di un cammino più ampio qualificato dalla dimensione vocazionale.
58. Nel cambiamento culturale in atto spesso vengono presentati modelli in contrasto con la visione cristiana della famiglia. La sessualità è spesso svincolata da un progetto di amore autentico. In alcuni Paesi vengono perfino imposti dall’autorità pubblica progetti formativi che presentano contenuti in contrasto con la visione umana e cristiana: rispetto ad essi vanno affermati con decisione la libertà della Chiesa di insegnare la propria dottrina e il diritto all’obiezione di coscienza da parte degli educatori. Peraltro, la famiglia, pur rimanendo spazio pedagogico primario (cf. Gravissimum Educationis, 3), non può essere l’unico luogo di educazione alla sessualità. Occorre, per questo, strutturare veri e propri percorsi pastorali di supporto, rivolti sia ai singoli sia alle coppie, con una particolare attenzione all’età della pubertà e dell’adolescenza, nei quali aiutare a scoprire la bellezza della sessualità nell’amore. Il cristianesimo proclama che Dio ha creato l’uomo come maschio e femmina, e li ha benedetti affinché formassero una sola carne e trasmettessero la vita (cf. Gen 1, 27-28; 2, 24). La loro differenza, nella pari dignità personale, è il sigillo della buona creazione di Dio. Secondo il principio cristiano, anima e corpo, come anche sesso biologico (sex) e ruolo sociale-culturale del sesso (gender), si possono distinguere, ma non separare.
Emerge dunque l’esigenza di un ampliamento dei temi formativi negli itinerari prematrimoniali, così che questi diventino dei percorsi di educazione alla fede e all’amore, integrati nel cammino dell’iniziazione cristiana. In questa luce, è necessario ricordare l’importanza delle virtù, tra cui la castità, condizione preziosa per la crescita genuina dell’amore interpersonale. L’itinerario formativo dovrebbe assumere la fisionomia di un cammino orientato al discernimento vocazionale personale e di coppia, curando una migliore sinergia tra i vari ambiti pastorali. I percorsi di preparazione al matrimonio siano proposti anche da coppie sposate in grado di accompagnare i nubendi prima delle nozze e nei primi anni di vita matrimoniale, valorizzando così la ministerialità coniugale. La valorizzazione pastorale delle relazioni personali favorirà l’apertura graduale delle menti e dei cuori alla pienezza del piano di Dio.
La celebrazione nuziale
59. La liturgia nuziale è un evento unico, che si vive nel contesto familiare e sociale di una festa. Il primo dei segni di Gesù avvenne al banchetto delle nozze di Cana: il vino buono del miracolo del Signore, che allieta la nascita di una nuova famiglia, è il vino nuovo dell’Alleanza di Cristo con gli uomini e le donne di ogni tempo. La preparazione delle nozze occupa per lungo tempo l’attenzione dei nubendi. Essa rappresenta un tempo prezioso per loro, per le loro famiglie e i loro amici, che deve arricchirsi della sua dimensione propriamente spirituale ed ecclesiale. La celebrazione nuziale è occasione propizia di invitare molti alla celebrazione dei sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia. La comunità cristiana, attraverso una partecipazione cordiale e gioiosa, accoglierà nel suo grembo la nuova famiglia affinché, come Chiesa domestica, si senta parte della più grande famiglia ecclesiale. La liturgia nuziale dovrebbe essere preparata attraverso una catechesi mistagogica che faccia percepire alla coppia che la celebrazione della loro alleanza si compie “nel Signore”. Frequentemente, il celebrante ha l’opportunità di rivolgersi ad un’assemblea composta da persone che partecipano poco alla vita ecclesiale o appartengono ad altra confessione cristiana o comunità religiosa. Si tratta di una preziosa occasione di annuncio del Vangelo di Cristo, che può suscitare, nelle famiglie presenti, la riscoperta della fede e dell’amore che vengono da Dio.
I primi anni della vita familiare
60. I primi anni di matrimonio sono un periodo vitale e delicato durante il quale le coppie crescono nella consapevolezza delle loro vocazione e missione. Di qui l’esigenza di un accompagnamento pastorale che continui dopo la celebrazione del sacramento. La parrocchia è il luogo dove coppie esperte possono essere messe a disposizione di quelle più giovani, con l’eventuale concorso di associazioni, movimenti ecclesiali e nuove comunità. Occorre incoraggiare gli sposi a un atteggiamento fondamentale di accoglienza del grande dono dei figli. Va sottolineata l’importanza della spiritualità familiare, della preghiera e della partecipazione all’Eucaristia domenicale, invitando le coppie a riunirsi regolarmente per promuovere la crescita della vita spirituale e la solidarietà nelle esigenze concrete della vita. L’incontro personale con Cristo attraverso la lettura della Parola di Dio, nella comunità e nelle case, specialmente nella forma della “lectio divina”, costituisce una fonte di ispirazione per l’agire quotidiano. Liturgie, pratiche devozionali ed Eucaristie celebrate per le famiglie, soprattutto nell’anniversario del matrimonio, nutrono la vita spirituale e la testimonianza missionaria della famiglia. Non di rado, nei primi anni di vita coniugale, si verifica una certa introversione della coppia, con il conseguente isolamento dal contesto comunitario. Il consolidamento della rete relazionale tra le coppie e la creazione di legami significativi sono necessari per la maturazione della vita cristiana della famiglia. I movimenti e i gruppi ecclesiali spesso garantiscono tali momenti di crescita e di formazione. La Chiesa locale, integrando tali apporti, assuma l’iniziativa di coordinare la cura pastorale delle giovani famiglie. Nella fase iniziale della vita coniugale particolare avvilimento procura la frustrazione del desiderio di avere figli. Non di rado, in questa si annunciano motivi di crisi che sfociano rapidamente nella separazione. Anche per tali ragioni è particolarmente importante la vicinanza della comunità ai giovani sposi, attraverso il sostegno affettuoso e discreto di famiglie affidabili.
La formazione dei presbiteri e di altri operatori pastorali
61. È necessario un rinnovamento della pastorale alla luce del Vangelo della famiglia e dell’insegnamento del Magistero. Per questo, occorre provvedere ad una più adeguata formazione dei presbiteri, dei diaconi, dei religiosi e delle religiose, dei catechisti e degli altri operatori pastorali, che devono promuovere l’integrazione delle famiglie nella comunità parrocchiale, soprattutto in occasione dei cammini di formazione alla vita cristiana in vista dei sacramenti. In particolare i seminari, nei loro itinerari di formazione umana, spirituale, intellettuale e pastorale, devono preparare i futuri presbiteri a divenire apostoli della famiglia. Nella formazione al ministero ordinato non si può tralasciare lo sviluppo affettivo e psicologico, anche partecipando in modo diretto a percorsi adeguati. Itinerari e corsi di formazione destinati specificamente agli operatori pastorali potranno renderli idonei ad inserire lo stesso cammino di preparazione al matrimonio nella più ampia dinamica della vita ecclesiale. Nel periodo di formazione, i candidati al presbiterato vivano dei periodi congrui con la propria famiglia e siano guidati nel fare esperienze di pastorale familiare per acquisire una conoscenza adeguata della situazione attuale delle famiglie. La presenza dei laici e delle famiglie, in particolare la presenza femminile, nella formazione sacerdotale, favorisce l’apprezzamento della varietà e complementarità delle diverse vocazioni nella Chiesa. La dedizione di questo prezioso ministero potrà ricevere vitalità e concretezza da una rinnovata alleanza tra le due principali forme di vocazione all'amore: quella del matrimonio, che sboccia nella famiglia cristiana, basata sull’amore di elezione, e quella della vita consacrata, immagine della comunione del Regno, che parte dall’accoglienza incondizionata dell’altro come dono di Dio. Nella comunione delle vocazioni si attua uno scambio fecondo di doni, che ravviva e arricchisce la comunità ecclesiale (cf. At 18,2). La direzione spirituale della famiglia può essere considerata uno dei ministeri parrocchiali. Si suggerisce che l’Ufficio diocesano per la famiglia e gli altri Uffici pastorali possano intensificare la loro collaborazione in questo campo. Nella formazione permanente del clero e degli operatori pastorali, è auspicabile che si continui a curare con strumenti appropriati la maturazione della dimensione affettiva e psicologica, che sarà loro indispensabile per l’accompagnamento pastorale delle famiglie, anche in vista delle particolari situazioni di emergenza determinate dai casi di violenza domestica e di abuso sessuale.
Capitolo II
Famiglia, generatività, educazione
La trasmissione della vita
62. La presenza delle famiglie numerose nella Chiesa è una benedizione per la comunità cristiana e per la società, poiché l’apertura alla vita è esigenza intrinseca dell’amore coniugale. In questa luce, la Chiesa esprime viva gratitudine alle famiglie che accolgono, educano, circondano di affetto e trasmettono la fede ai loro figli, in modo particolare quelli più fragili e segnati da disabilità. Questi bambini, nati con bisogni speciali, attraggono l’amore di Cristo e chiedono alla Chiesa di custodirli come una benedizione. È purtroppo diffusa una mentalità che riduce la generazione della vita alla sola gratificazione individuale o di coppia. I fattori di ordine economico, culturale ed educativo esercitano un peso talvolta determinante contribuendo al forte calo della natalità che indebolisce il tessuto sociale, compromette il rapporto tra le generazioni e rende più incerto lo sguardo sul futuro. Anche in questo ambito occorre partire dall’ascolto delle persone e dar ragione della bellezza e della verità di una apertura incondizionata alla vita come ciò di cui l’amore umano ha bisogno per essere vissuto in pienezza. Si coglie qui la necessità di divulgare sempre più i documenti del Magistero della Chiesa che promuovono la cultura della vita. La pastorale familiare dovrebbe maggiormente coinvolgere gli specialisti cattolici in materia biomedica nei percorsi di preparazione al matrimonio e nell’accompagnamento dei coniugi.
La responsabilità generativa
63. Secondo l’ordine della creazione l’amore coniugale tra un uomo e una donna e la trasmissione della vita sono ordinati l’uno all’altra (cf. Gen 1,27-28). In questo modo il Creatore ha reso partecipe l’uomo e la donna dell’opera della sua creazione e li ha contemporaneamente resi strumenti del suo amore, affidando alla loro responsabilità il futuro dell’umanità attraverso la trasmissione della vita umana. I coniugi si apriranno alla vita formandosi «un retto giudizio: tenendo conto sia del proprio bene personale che di quello dei figli, tanto di quelli nati che di quelli che si prevede nasceranno; valutando le condizioni sia materiali che spirituali della loro epoca e del loro stato di vita; e, infine, tenendo conto del bene della comunità familiare, della società temporale e della Chiesa stessa» (GS, 50; cf. VS, 54-64). Conformemente al carattere personale e umanamente completo dell’amore coniugale, la giusta strada per la pianificazione familiare è quella di un dialogo consensuale tra gli sposi, del rispetto dei tempi e della considerazione della dignità del partner. In questo senso l’Enciclica Humanae Vitae (cf. 10-14) e l’Esortazione Apostolica Familiaris Consortio (cf. 14; 28-35) devono essere riscoperte al fine di ridestare la disponibilità a procreare in contrasto con una mentalità spesso ostile alla vita. Occorre esortare ripetutamente le giovani coppie a donare la vita. In questo modo può crescere l’apertura alla vita nella famiglia, nella Chiesa e nella società. Attraverso le sue numerose istituzioni per bambini la Chiesa può contribuire a creare una società, ma anche una comunità di fede, che siano più a misura di bambino. Il coraggio di trasmettere la vita viene notevolmente rafforzato laddove si crea un’atmosfera adatta ai piccoli, nella quale viene offerto aiuto e accompagnamento nell’opera di educazione della prole (cooperazione tra parrocchie, genitori e famiglie).
La scelta responsabile della genitorialità presuppone la formazione della coscienza, che è «il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità» (GS, 16). Quanto più gli sposi cercano di ascoltare nella loro coscienza Dio e i suoi comandamenti (cf. Rm 2,15), e si fanno accompagnare spiritualmente, tanto più la loro decisione sarà intimamente libera da un arbitrio soggettivo e dall’adeguamento ai modi di comportarsi del loro ambiente. Per amore di questa dignità della coscienza la Chiesa rigetta con tutte le sue forze gli interventi coercitivi dello Stato a favore di contraccezione, sterilizzazione o addirittura aborto. Il ricorso ai metodi fondati sui «ritmi naturali di fecondità» (HV, 11) andrà incoraggiato. Si metterà in luce che «questi metodi rispettano il corpo degli sposi, incoraggiano la tenerezza fra di loro e favoriscono l’educazione di una libertà autentica» (CCC, 2370). Va evidenziato sempre che i figli sono un meraviglioso dono di Dio, una gioia per i genitori e per la Chiesa. Attraverso di essi il Signore rinnova il mondo.
Il valore della vita in tutte le sue fasi
64. La vita è dono di Dio e mistero che ci trascende. Per questo, non si devono in alcun modo scartarne gli inizi e lo stadio terminale. Al contrario, è necessario assicurare a queste fasi una speciale attenzione. Oggi, troppo facilmente «si considera l’essere umano in se stesso come un bene di consumo, che si può usare e poi gettare. Abbiamo dato inizio alla cultura dello “scarto” che, addirittura, viene promossa» (EG, 53). A questo riguardo, è compito della famiglia, sostenuta dalla società tutta, accogliere la vita nascente e prendersi cura della sua fase ultima. Riguardo al dramma dell’aborto, la Chiesa anzitutto afferma il carattere sacro e inviolabile della vita umana e si impegna concretamente a favore di essa (cf. EV, 58). Grazie alle sue istituzioni, offre consulenza alle gestanti, sostiene le ragazze-madri, assiste i bambini abbandonati, è vicina a coloro che hanno sofferto l’aborto. A coloro che operano nelle strutture sanitarie si rammenta l’obbligo morale dell’obiezione di coscienza. Allo stesso modo, la Chiesa non solo sente l’urgenza di affermare il diritto alla morte naturale, evitando l’accanimento terapeutico e l’eutanasia, ma si prende anche cura degli anziani, protegge le persone con disabilità, assiste i malati terminali, conforta i morenti, rigetta fermamente la pena di morte (cf. CCC, 2258).
Adozione e affido
65. L’adozione di bambini, orfani e abbandonati, accolti come propri figli, nello spirito della fede assume la forma di un autentico apostolato familiare (cf. AA, 11), più volte richiamato e incoraggiato dal Magistero (cf. FC, 41; EV, 93). La scelta dell’adozione e dell’affido esprime una particolare fecondità dell’esperienza coniugale, al di là dei casi in cui è dolorosamente segnata dalla sterilità. Tale scelta è segno eloquente dell’accoglienza generativa, testimonianza della fede e compimento dell’amore. Essa restituisce reciproca dignità ad un legame interrotto: agli sposi che non hanno figli e a figli che non hanno genitori. Vanno perciò sostenute tutte le iniziative volte a rendere più agevoli le procedure di adozione. Il traffico di bambini fra Paesi e Continenti va impedito con opportuni interventi legislativi e controlli degli Stati. La continuità della relazione generativa ed educativa ha come fondamento necessario la differenza sessuale di uomo e donna, così come la procreazione. A fronte di quelle situazioni in cui il figlio è preteso a qualsiasi costo, come diritto del proprio completamento, l’adozione e l’affido rettamente intesi mostrano un aspetto importante della genitorialità e della figliolanza, in quanto aiutano a riconoscere che i figli, sia naturali sia adottivi o affidati, sono altro da sé ed occorre accoglierli, amarli, prendersene cura e non solo metterli al mondo. L’interesse prevalente del bambino dovrebbe sempre ispirare le decisioni sull’adozione e l’affido. Come ha ricordato Papa Francesco, «i bambini hanno il diritto di crescere in una famiglia, con un papà e una mamma» (Udienza ai Partecipanti al Colloquio internazionale sulla complementarità tra uomo e donna, promosso dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, 17 novembre 2014). Nondimeno, la Chiesa deve proclamare che, laddove è possibile, i bambini hanno diritto a crescere nella loro famiglia natale con il maggior sostegno possibile.
L’educazione dei figli
66. Una delle sfide fondamentali, fra quelle che sono poste alle famiglie oggi, è sicuramente quella educativa, resa più impegnativa e complessa dalla realtà culturale attuale e dalla grande influenza dei media. Vanno tenute in debito conto le esigenze e le attese di famiglie capaci di essere nella vita quotidiana, luoghi di crescita, di concreta ed essenziale trasmissione della fede, della spiritualità e delle virtù che danno forma all’esistenza. La famiglia di origine è spesso il grembo della vocazione al sacerdozio e alla vita consacrata: pertanto si esortano i genitori a chiedere al Signore il dono inestimabile della vocazione per qualcuno dei loro figli. Nel campo educativo sia tutelato il diritto dei genitori di scegliere liberamente il tipo di educazione da dare ai figli secondo le loro convinzioni e a condizioni accessibili e di qualità. Occorre aiutare a vivere l’affettività, anche nella relazione coniugale, come un cammino di maturazione, nella sempre più profonda accoglienza dell’altro e in una donazione sempre più piena. Va ribadita in tal senso la necessità di offrire cammini formativi che alimentino la vita coniugale e l’importanza di un laicato che offra un accompagnamento fatto di testimonianza viva. È di grande aiuto l’esempio di un amore fedele e profondo fatto di tenerezza, di rispetto, capace di crescere nel tempo e che nel suo concreto aprirsi alla generazione della vita fa l’esperienza di un mistero che ci trascende.
67. Nelle diverse culture, gli adulti della famiglia conservano una insostituibile funzione educativa. Tuttavia, in molti contesti, stiamo assistendo ad un progressivo indebolimento del ruolo educativo dei genitori, a motivo di un’invasiva presenza dei media all’interno della sfera familiare, oltre che per la tendenza a delegare o a riservare ad altri soggetti questo compito. D’altra parte, i media (specialmente i social media) uniscono i membri della famiglia anche a distanza. L’uso della e-mail e di altri social media può tenere uniti i membri della famiglia nel tempo. Oltre tutto i media possono essere un’occasione per l’evangelizzazione dei giovani. Si richiede che la Chiesa incoraggi e sostenga le famiglie nella loro opera di partecipazione vigile e responsabile nei confronti dei programmi scolastici ed educativi che interessano i loro figli. Vi è unanime consenso nel ribadire che la prima scuola di educazione è la famiglia e che la comunità cristiana si pone a sostegno ed integrazione di questo insostituibile ruolo formativo. Si ritiene necessario individuare spazi e momenti d’incontro per incoraggiare la formazione dei genitori e la condivisione di esperienze tra famiglie. È importante che i genitori siano coinvolti attivamente nei cammini di preparazione ai sacramenti dell’iniziazione cristiana, in qualità di primi educatori e testimoni di fede per i loro figli.
68. Le scuole cattoliche svolgono una funzione vitale nell’assistere i genitori nel loro dovere di educare i figli. L’educazione cattolica favorisce il ruolo della famiglia: assicura una buona preparazione, educa alle virtù e ai valori, istruisce negli insegnamenti della Chiesa. Le scuole cattoliche dovrebbero essere incoraggiate nella loro missione di aiutare gli alunni a crescere come adulti maturi che possono vedere il mondo attraverso lo sguardo di amore di Gesù e che comprendono la vita come una chiamata a servire Dio. Le scuole cattoliche risultano così rilevanti per la missione evangelizzatrice della Chiesa. In molte regioni le scuole cattoliche sono le uniche ad assicurare autentiche opportunità per i bambini di famiglie povere, specialmente per le giovani, offrendo loro un’alternativa alla povertà e una via per dare un vero contributo alla vita della società. Le scuole cattoliche dovrebbero essere incoraggiate a portare avanti la loro azione nelle comunità più povere, servendo i membri meno fortunati e più vulnerabili della nostra società.
Capitolo III
Famiglia e accompagnamento pastorale
Situazioni complesse
69. Il sacramento del matrimonio, come unione fedele e indissolubile tra un uomo e una donna chiamati ad accogliersi reciprocamente e ad accogliere la vita, è una grande grazia per la famiglia umana. La Chiesa ha la gioia e il dovere di annunciare questa grazia a ogni persona e in ogni contesto. Essa sente oggi, in modo ancora più urgente, la responsabilità di far riscoprire ai battezzati come la grazia di Dio opera nella loro vita - anche nelle situazioni più difficili - per condurli alla pienezza del sacramento. Il Sinodo, mentre apprezza ed incoraggia le famiglie che onorano la bellezza del matrimonio cristiano, intende promuovere il discernimento pastorale delle situazioni in cui l’accoglienza di questo dono fatica ad essere apprezzata, oppure è in vario modo compromessa. Mantenere vivo il dialogo pastorale con questi fedeli, per consentire la maturazione di una coerente apertura al Vangelo del matrimonio e della famiglia nella sua pienezza, è una grave responsabilità. I pastori devono identificare gli elementi che possono favorire l’evangelizzazione e la crescita umana e spirituale di coloro che sono affidati dal Signore alla loro cura.
70. La pastorale proponga con chiarezza il messaggio evangelico e colga gli elementi positivi presenti in quelle situazioni che non corrispondono ancora o non più ad esso. In molti Paesi un crescente numero di coppie convivono, senza alcun matrimonio né canonico, né civile. In alcuni Paesi esiste il matrimonio tradizionale, concertato tra famiglie e spesso celebrato in diverse tappe. In altri Paesi invece è in crescita il numero di coloro che, dopo aver vissuto insieme per lungo tempo, chiedono la celebrazione del matrimonio in chiesa. La semplice convivenza è spesso scelta a causa della mentalità generale contraria alle istituzioni e agli impegni definitivi, ma anche per l’attesa di una sicurezza esistenziale (lavoro e salario fisso). In altri Paesi, infine, le unioni di fatto diventano sempre più numerose, non solo per il rigetto dei valori della famiglia e del matrimonio, ma anche per il fatto che sposarsi è percepito come un lusso, per le condizioni sociali, così che la miseria materiale spinge a vivere unioni di fatto. Tutte queste situazioni vanno affrontate in maniera costruttiva, cercando di trasformarle in opportunità di cammino di conversione verso la pienezza del matrimonio e della famiglia alla luce del Vangelo.
71. La scelta del matrimonio civile o, in diversi casi, della semplice convivenza, molto spesso non è motivata da pregiudizi o resistenze nei confronti dell’unione sacramentale, ma da situazioni culturali o contingenti. In molte circostanze, la decisione di vivere insieme è segno di una relazione che vuole realmente orientarsi ad una prospettiva di stabilità. Questa volontà, che si traduce in un legame duraturo, affidabile e aperto alla vita può considerarsi un impegno su cui innestare un cammino verso il sacramento nuziale, scoperto come il disegno di Dio sulla propria vita. Il cammino di crescita, che può condurre al matrimonio sacramentale, sarà incoraggiato dal riconoscimento dei tratti propri dell’amore generoso e duraturo: il desiderio di cercare il bene dell’altro prima del proprio; l’esperienza del perdono richiesto e donato; l’aspirazione a costituire una famiglia non chiusa su se stessa e aperta al bene della comunità ecclesiale e dell’intera società. Lungo questo percorso potranno essere valorizzati quei segni di amore che propriamente corrispondono al riflesso dell’amore di Dio in un autentico progetto coniugale.
72. Le problematiche relative ai matrimoni misti richiedono una specifica attenzione. I matrimoni tra cattolici e altri battezzati «presentano, pur nella loro particolare fisionomia, numerosi elementi che è bene valorizzare e sviluppare, sia per il loro intrinseco valore, sia per l’apporto che possono dare al movimento ecumenico». A tal fine «va ricercata […] una cordiale collaborazione tra il ministro cattolico e quello non cattolico, fin dal tempo della preparazione al matrimonio e delle nozze» (FC, 78). Circa la condivisione eucaristica si ricorda che «la decisione di ammettere o no la parte non cattolica del matrimonio alla comunione eucaristica va presa in conformità alle norme generali esistenti in materia, tanto per i cristiani orientali quanto per gli altri cristiani, e tenendo conto di questa situazione particolare, che cioè ricevono il sacramento del matrimonio cristiano due cristiani battezzati. Sebbene gli sposi di un matrimonio misto abbiano in comune i sacramenti del battesimo e del matrimonio, la condivisione dell’Eucaristia non può essere che eccezionale e, in ogni caso, vanno osservate le disposizioni indicate […]» (Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, Direttorio per l’Applicazione dei Principi e delle Norme per l’Ecumenismo, 25 marzo 1993, 159-160).
73. I matrimoni con disparità di culto rappresentano un luogo privilegiato di dialogo interreligioso nella vita quotidiana, e possono essere un segno di speranza per le comunità religiose, specialmente dove esistono situazioni di tensione. I membri della coppia condividono le rispettive esperienze spirituali, oppure un cammino di ricerca religiosa se uno dei due non è credente (cf. 1 Cor 7, 14). I matrimoni con disparità di culto comportano alcune speciali difficoltà sia riguardo alla identità cristiana della famiglia, sia all’educazione religiosa dei figli. Gli sposi sono chiamati a trasformare sempre più il sentimento iniziale di attrazione nel desiderio sincero del bene dell’altro. Questa apertura trasforma anche la diversa appartenenza religiosa in una opportunità di arricchimento della qualità spirituale del rapporto. Il numero delle famiglie composte da unioni coniugali con disparità di culto, in crescita nei territori di missione e anche nei Paesi di lunga tradizione cristiana, sollecita l’urgenza di provvedere ad una cura pastorale differenziata secondo i diversi contesti sociali e culturali. In alcuni Paesi, dove la libertà di religione non esiste, il coniuge cristiano è obbligato a passare ad un’altra religione per potersi sposare, e non può celebrare il matrimonio canonico in disparità di culto né battezzare i figli. Dobbiamo ribadire pertanto la necessità che la libertà religiosa sia rispettata nei confronti di tutti.
74. I matrimoni misti e i matrimoni con disparità di culto presentano aspetti di potenzialità feconde e di criticità molteplici di non facile soluzione, più a livello pastorale che normativo, quali l’educazione religiosa dei figli, la partecipazione alla vita liturgica del coniuge, la condivisione dell’esperienza spirituale. Per affrontare in modo costruttivo le diversità in ordine alla fede, è necessario rivolgere un’attenzione particolare alle persone che si uniscono in tali matrimoni, non solo nel periodo precedente alle nozze. Sfide peculiari affrontano le coppie e le famiglie nelle quali un partner è cattolico e l’altro non credente. In tali casi è necessario testimoniare la capacità del Vangelo di calarsi in queste situazioni così da rendere possibile l’educazione alla fede cristiana dei figli.
75. Particolare difficoltà presentano le situazioni che riguardano l’accesso al battesimo di persone che si trovano in una condizione matrimoniale complessa. Si tratta di persone che hanno contratto un’unione matrimoniale stabile in un tempo in cui ancora almeno una di esse non conosceva la fede cristiana. I Vescovi sono chiamati a esercitare, in questi casi, un discernimento pastorale commisurato al loro bene spirituale.
76. La Chiesa conforma il suo atteggiamento al Signore Gesù che in un amore senza confini si è offerto per ogni persona senza eccezioni (MV, 12). Nei confronti delle famiglie che vivono l’esperienza di avere al loro interno persone con tendenza omosessuale, la Chiesa ribadisce che ogni persona, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, vada rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare «ogni marchio di ingiusta discriminazione» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, 4). Si riservi una specifica attenzione anche all’accompagnamento delle famiglie in cui vivono persone con tendenza omosessuale. Circa i progetti di equiparazione al matrimonio delle unioni tra persone omosessuali, «non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia» (Ibidem). Il Sinodo ritiene in ogni caso del tutto inaccettabile che le Chiese locali subiscano delle pressioni in questa materia e che gli organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri all’introduzione di leggi che istituiscano il “matrimonio” fra persone dello stesso sesso.
Accompagnamento in diverse situazioni
77. La Chiesa fa proprie, in un’affettuosa condivisione, le gioie e le speranze, i dolori e le angosce di ogni famiglia. Stare vicino alla famiglia come compagna di cammino significa, per la Chiesa, assumere un atteggiamento sapientemente differenziato: a volte, è necessario rimanere accanto ed ascoltare in silenzio; altre volte, si deve precedere per indicare la via da percorrere; altre volte ancora, è opportuno seguire, sostenere e incoraggiare. «La Chiesa dovrà iniziare i suoi membri – sacerdoti, religiosi e laici – a questa “arte dell’accompagnamento”, perché tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro (cf. Es 3,5). Dobbiamo dare al nostro cammino il ritmo salutare della prossimità, con uno sguardo rispettoso e pieno di compassione ma che nel medesimo tempo sani, liberi e incoraggi a maturare nella vita cristiana» (EG, 169). Il principale contributo alla pastorale familiare lo offre la parrocchia, che è famiglia di famiglie, in cui si armonizzano gli apporti di piccole comunità, movimenti ed associazioni ecclesiali. L’accompagnamento richiede sacerdoti specificatamente preparati. L’istituzione di centri specializzati dove sacerdoti, religiosi e laici imparino a prendersi cura di ogni famiglia, con particolare attenzione verso quelle in difficoltà.
78. Un ministero dedicato a coloro la cui relazione matrimoniale si è infranta appare particolarmente urgente. Il dramma della separazione spesso giunge alla fine di lunghi periodi di conflitto, che fanno ricadere sui figli le sofferenze maggiori. La solitudine del coniuge abbandonato, o che è stato costretto ad interrompere una convivenza caratterizzata da continui e gravi maltrattamenti, sollecita una particolare cura da parte della comunità cristiana. Prevenzione e cura nei casi di violenza familiare richiedono una stretta collaborazione con la giustizia per agire contro i responsabili e proteggere adeguatamente le vittime. Inoltre, è importante promuovere la protezione dei minori dall’abuso sessuale. Nella Chiesa sia mantenuta la tolleranza zero in questi casi, insieme all’accompagnamento delle famiglie. Sembrerebbe poi opportuno tenere in considerazione le famiglie nelle quali alcuni membri svolgono attività che comportano particolari esigenze, come quei militari, che si trovano in uno stato di separazione materiale e di una prolungata lontananza fisica dalla famiglia, con tutte le conseguenze che ciò comporta. Tornati dagli ambienti di guerra, non raramente costoro sono colpiti da una sindrome post-traumatica e sono turbati nella coscienza che rivolge loro gravi domande morali. Una peculiare attenzione pastorale è qui necessaria.
79. L’esperienza del fallimento matrimoniale è sempre dolorosa per tutti. Lo stesso fallimento, d’altra parte, può diventare occasione di riflessione, di conversione e di affidamento a Dio: presa coscienza delle proprie responsabilità, ognuno può ritrovare in Lui fiducia e speranza. «Dal cuore della Trinità, dall’intimo più profondo del mistero di Dio, sgorga e scorre senza sosta il grande fiume della misericordia. Questa fonte non potrà mai esaurirsi, per quanti siano quelli che vi si accostano. Ogni volta che ognuno ne avrà bisogno, potrà accedere ad essa, perché la misericordia di Dio è senza fine» (MV, 25). Il perdono per l’ingiustizia subita non è facile, ma è un cammino che la grazia rende possibile. Di qui la necessità di una pastorale della conversione e della riconciliazione attraverso anche centri di ascolto e di mediazione specializzati da stabilire nelle Diocesi. Va comunque promossa la giustizia nei confronti di tutte le parti coinvolte nel fallimento matrimoniale (coniugi e figli). La comunità cristiana e i suoi Pastori hanno il dovere di chiedere ai coniugi separati e divorziati di trattarsi con rispetto e misericordia, soprattutto per il bene dei figli, ai quali non si deve procurare ulteriore sofferenza. I figli non possono essere un oggetto da contendersi e vanno cercate le forme migliori perché possano superare il trauma della scissione familiare e crescere in maniera il più possibile serena. In ogni caso la Chiesa dovrà sempre mettere in rilievo l’ingiustizia che deriva molto spesso dalla situazione di divorzio.
80. Le famiglie monoparentali hanno origini diverse: madri o padri biologici che non hanno voluto mai integrarsi nella vita familiare, situazioni di violenza da cui un genitore è dovuto fuggire con i figli, morte di uno dei genitori, abbandono della famiglia da parte di uno dei genitori, e altre situazioni. Qualunque sia la causa, il genitore che abita con il bambino deve trovare sostegno e conforto presso le altre famiglie che formano la comunità cristiana, così come presso gli organismi pastorali parrocchiali. Queste famiglie sono spesso ulteriormente afflitte dalla gravità dei problemi economici, dall’incertezza di un lavoro precario, dalla difficoltà per il mantenimento dei figli, dalla mancanza di una casa. La stessa sollecitudine pastorale dovrà essere manifestata nei riguardi delle persone vedove, delle ragazze madri e dei loro bambini.
81. Quando gli sposi sperimentano problemi nelle loro relazioni, devono poter contare sull’aiuto e l’accompagnamento della Chiesa. L’esperienza mostra che con un aiuto adeguato e con l’azione di riconciliazione della grazia dello Spirito Santo una grande percentuale di crisi matrimoniali si superano in maniera soddisfacente. Saper perdonare e sentirsi perdonati è un’esperienza fondamentale nella vita familiare. Il perdono tra gli sposi permette di riscoprire la verità di un amore che è per sempre e non passa mai (cf. 1 Cor 13,8). Nell’ambito delle relazioni familiari la necessità della riconciliazione è praticamente quotidiana. Le incomprensioni dovute alle relazioni con le famiglie di origine, il conflitto tra abitudini culturali e religiose diverse, la divergenza circa l’educazione dei figli, l’ansia per le difficoltà economiche, la tensione che sorge a seguito di dipendenze e della perdita del lavoro. Sono alcuni dei motivi ricorrenti di tensioni e conflitti. La faticosa arte della riconciliazione, che necessita del sostegno della grazia, ha bisogno della generosa collaborazione di parenti ed amici, e talvolta anche di un aiuto esterno e professionale. Nei casi più dolorosi, come quello dell’infedeltà coniugale, è necessaria una vera e propria opera di riparazione alla quale rendersi disponibili. Un patto ferito può essere risanato: a questa speranza occorre educarsi fin dalla preparazione al matrimonio. È fondamentale l’azione dello Spirito Santo nella cura delle persone e delle famiglie ferite, la recezione del sacramento della Riconciliazione e la necessità di cammini spirituali accompagnati da ministri esperti.
82. Per tanti fedeli che hanno vissuto un’esperienza matrimoniale infelice, la verifica dell’invalidità del matrimonio rappresenta una via da percorrere. I recenti Motu Proprio Mitis Iudex Dominus Iesus e Mitis et Misericors Iesus hanno condotto ad una semplificazione delle procedure per la eventuale dichiarazione di nullità matrimoniale. Con questi testi, il Santo Padre ha voluto anche «rendere evidente che il Vescovo stesso nella sua Chiesa, di cui è costituito pastore e capo, è per ciò stesso giudice tra i fedeli a lui affidati» (MI, preambolo, III). L’attuazione di questi documenti costituisce dunque una grande responsabilità per gli Ordinari diocesani, chiamati a giudicare loro stessi alcune cause e, in ogni modo, ad assicurare un accesso più facile dei fedeli alla giustizia. Ciò implica la preparazione di un personale sufficiente, composto di chierici e laici, che si consacri in modo prioritario a questo servizio ecclesiale. Sarà pertanto necessario mettere a disposizione delle persone separate o delle coppie in crisi, un servizio d’informazione, di consiglio e di mediazione, legato alla pastorale familiare, che potrà pure accogliere le persone in vista dell’indagine preliminare al processo matrimoniale (cf. MI, Art. 2-3).
83. La testimonianza di coloro che anche in condizioni difficili non intraprendono una nuova unione, rimanendo fedeli al vincolo sacramentale, merita l’apprezzamento e il sostegno da parte della Chiesa. Essa vuole mostrare loro il volto di un Dio fedele al suo amore e sempre capace di ridonare forza e speranza. Le persone separate o divorziate ma non risposate, che spesso sono testimoni della fedeltà matrimoniale, vanno incoraggiate a trovare nell’Eucaristia il cibo che le sostenga nel loro stato.
Discernimento e integrazione
84. I battezzati che sono divorziati e risposati civilmente devono essere più integrati nelle comunità cristiane nei diversi modi possibili, evitando ogni occasione di scandalo. La logica dell’integrazione è la chiave del loro accompagnamento pastorale, perché non soltanto sappiano che appartengono al Corpo di Cristo che è la Chiesa, ma ne possano avere una gioiosa e feconda esperienza. Sono battezzati, sono fratelli e sorelle, lo Spirito Santo riversa in loro doni e carismi per il bene di tutti. La loro partecipazione può esprimersi in diversi servizi ecclesiali: occorre perciò discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate. Essi non solo non devono sentirsi scomunicati, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa, sentendola come una madre che li accoglie sempre, si prende cura di loro con affetto e li incoraggia nel cammino della vita e del Vangelo. Quest’integrazione è necessaria pure per la cura e l’educazione cristiana dei loro figli, che debbono essere considerati i più importanti. Per la comunità cristiana, prendersi cura di queste persone non è un indebolimento della propria fede e della testimonianza circa l’indissolubilità matrimoniale: anzi, la Chiesa esprime proprio in questa cura la sua carità.
85. San Giovanni Paolo II ha offerto un criterio complessivo, che rimane la base per la valutazione di queste situazioni: «Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni. C’è infatti differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido. Ci sono infine coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido» (FC, 84). È quindi compito dei presbiteri accompagnare le persone interessate sulla via del discernimento secondo l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo. In questo processo sarà utile fare un esame di coscienza, tramite momenti di riflessione e di pentimento. I divorziati risposati dovrebbero chiedersi come si sono comportati verso i loro figli quando l’unione coniugale è entrata in crisi; se ci sono stati tentativi di riconciliazione; come è la situazione del partner abbandonato; quali conseguenze ha la nuova relazione sul resto della famiglia e la comunità dei fedeli; quale esempio essa offre ai giovani che si devono preparare al matrimonio. Una sincera riflessione può rafforzare la fiducia nella misericordia di Dio che non viene negata a nessuno.
Inoltre, non si può negare che in alcune circostanze «l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate» (CCC, 1735) a causa di diversi condizionamenti. Di conseguenza, il giudizio su una situazione oggettiva non deve portare ad un giudizio sulla «imputabilità soggettiva» (Pontificio Consiglio per i testi legislativi, Dichiarazione del 24 giugno 2000, 2a). In determinate circostanze le persone trovano grandi difficoltà ad agire in modo diverso. Perciò, pur sostenendo una norma generale, è necessario riconoscere che la responsabilità rispetto a determinate azioni o decisioni non è la medesima in tutti i casi. Il discernimento pastorale, pure tenendo conto della coscienza rettamente formata delle persone, deve farsi carico di queste situazioni. Anche le conseguenze degli atti compiuti non sono necessariamente le stesse in tutti i casi.
86. Il percorso di accompagnamento e discernimento orienta questi fedeli alla presa di coscienza della loro situazione davanti a Dio. Il colloquio col sacerdote, in foro interno, concorre alla formazione di un giudizio corretto su ciò che ostacola la possibilità di una più piena partecipazione alla vita della Chiesa e sui passi che possono favorirla e farla crescere. Dato che nella stessa legge non c’è gradualità (cf. FC, 34), questo discernimento non potrà mai prescindere dalle esigenze di verità e di carità del Vangelo proposte dalla Chiesa. Perché questo avvenga, vanno garantite le necessarie condizioni di umiltà, riservatezza, amore alla Chiesa e al suo insegnamento, nella ricerca sincera della volontà di Dio e nel desiderio di giungere ad una risposta più perfetta ad essa.
Capitolo IV
Famiglia ed evangelizzazione
La spiritualità familiare
87. La famiglia, nella sua vocazione e missione, è veramente un tesoro della Chiesa. Tuttavia, come afferma san Paolo nei riguardi del Vangelo, «noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta» (2 Cor 4,7). Sulla porta d’ingresso della vita della famiglia, afferma Papa Francesco, «sono scritte tre parole […]: “permesso?”, “grazie”, “scusa”. Infatti queste parole aprono la strada per vivere bene nella famiglia, per vivere in pace. Sono parole semplici, ma non così semplici da mettere in pratica! Racchiudono una grande forza: la forza di custodire la casa, anche attraverso mille difficoltà e prove; invece la loro mancanza, a poco a poco apre delle crepe che possono farla persino crollare» (Francesco, Udienza generale, 13 maggio 2015). L’insegnamento dei Pontefici invita ad approfondire la dimensione spirituale della vita familiare a partire dalla riscoperta della preghiera in famiglia e dell’ascolto in comune della Parola di Dio, da cui scaturisce l’impegno di carità. Nutrimento principale della vita spirituale della famiglia è l’Eucaristia, specialmente nel giorno del Signore, quale segno del suo profondo radicarsi nella comunità ecclesiale (cf. Giovanni Paolo II, Dies Domini, 52;66). La preghiera domestica, la partecipazione alla liturgia e la pratica delle devozioni popolari e mariane sono mezzi efficaci di incontro con Gesù Cristo e di evangelizzazione della famiglia. Ciò metterà in evidenza la speciale vocazione degli sposi a realizzare, con la grazia dello Spirito Santo, la loro santità attraverso la vita matrimoniale, anche partecipando al mistero della croce di Cristo, che trasforma le difficoltà e le sofferenze in offerta d’amore.
88. In famiglia la tenerezza è il legame che unisce i genitori tra loro e questi con i figli. Tenerezza vuol dire dare con gioia e suscitare nell’altro la gioia di sentirsi amato. Essa si esprime in particolare nel volgersi con attenzione squisita ai limiti dell’altro, specialmente quando emergono in maniera evidente. Trattare con delicatezza e rispetto significa curare le ferite e ridonare speranza, in modo da ravvivare nell’altro la fiducia. La tenerezza nei rapporti familiari è la virtù quotidiana che aiuta a superare i conflitti interiori e relazionali. Al riguardo, Papa Francesco ci invita a riflettere: «Abbiamo il coraggio di accogliere con tenerezza le situazioni difficili e i problemi di chi ci sta accanto, oppure preferiamo le soluzioni impersonali, magari efficienti ma prive del calore del Vangelo? Quanto bisogno di tenerezza ha oggi il mondo! Pazienza di Dio, vicinanza di Dio, tenerezza di Dio» (Omelia in occasione della Santa Messa della Notte nella Solennità del Natale del Signore, 24 dicembre 2014).
La famiglia soggetto della pastorale
89. Se la famiglia cristiana vuole essere fedele alla sua missione, essa dovrà ben comprendere da dove essa scaturisce: non può evangelizzare senza essere evangelizzata. La missione della famiglia abbraccia l’unione feconda degli sposi, l’educazione dei figli, la testimonianza del sacramento, la preparazione di altre coppie al matrimonio e l’accompagnamento amichevole di quelle coppie o famiglie che incontrano difficoltà. Da qui l’importanza di uno sforzo evangelizzatore e catechetico indirizzato all’interno della famiglia. Al riguardo, si abbia cura di valorizzare le coppie, le madri e i padri, come soggetti attivi della catechesi, specialmente nei confronti dei figli, in collaborazione con sacerdoti, diaconi, persone consacrate e catechisti. Questo sforzo inizia sin dalle prime frequentazioni serie della coppia. È di grande aiuto la catechesi familiare, in quanto metodo efficace per formare i giovani genitori e per renderli consapevoli della loro missione come evangelizzatori della propria famiglia. Inoltre, è molto importante sottolineare il nesso tra esperienza familiare e iniziazione cristiana. La comunità cristiana tutta deve diventare il luogo in cui le famiglie nascono, si incontrano e si confrontano insieme, camminando nella fede e condividendo percorsi di crescita e di reciproco scambio.
90. La Chiesa deve infondere nelle famiglie un senso di appartenenza ecclesiale, un senso del “noi” nel quale nessun membro è dimenticato. Tutti siano incoraggiati a sviluppare le proprie capacità e a realizzare il progetto della propria vita a servizio del Regno di Dio. Ogni famiglia, inserita nel contesto ecclesiale, riscopra la gioia della comunione con altre famiglie per servire il bene comune della società, promuovendo una politica, un’economia e una cultura al servizio della famiglia, anche attraverso l’utilizzo dei social network e dei media. Si auspica la possibilità di creare piccole comunità di famiglie come testimoni viventi dei valori evangelici. Si avverte il bisogno di preparare, formare e responsabilizzare alcune famiglie che possano accompagnarne altre a vivere cristianamente. Vanno pure ricordate e incoraggiate le famiglie che si rendono disponibili a vivere la missione “ad gentes”. Infine, si segnala l’importanza di collegare la pastorale giovanile con la pastorale familiare.
Il rapporto con le culture e con le istituzioni
91. La Chiesa «che ha conosciuto nel corso dei secoli condizioni d’esistenza diverse, si è servita delle differenti culture per diffondere e spiegare nella sua predicazione il messaggio di Cristo a tutte le genti, per studiarlo ed approfondirlo, per meglio esprimerlo nella vita liturgica e nella vita della multiforme comunità dei fedeli» (GS 58). È importante dunque, tener conto di queste culture e rispettare ciascuna di esse nelle sue particolarità. Conviene pure richiamare ciò che scriveva il Beato Paolo VI: «La rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca, come lo fu anche di altre. Occorre quindi fare tutti gli sforzi in vista di una generosa evangelizzazione della cultura, più esattamente delle culture» (EN, 20). La pastorale matrimoniale e familiare necessita di stimare quegli elementi positivi che s’incontrano nelle diverse esperienze religiose e culturali, i quali rappresentano una “praeparatio evangelica”. Nell’incontro con le culture, tuttavia, un’evangelizzazione attenta alle esigenze della promozione umana della famiglia non potrà sottrarsi alla franca denunzia dei condizionamenti culturali, sociali, politici ed economici. L’egemonia crescente della logica del mercato, che mortifica gli spazi e i tempi di un’autentica vita familiare, concorre anche ad aggravare discriminazioni, povertà, esclusioni, violenza. Tra le diverse famiglie che versano in condizioni di indigenza economica, a causa della disoccupazione o della precarietà lavorativa o della mancanza di assistenza socio-sanitaria, non di rado accade che alcuni, non potendo accedere al credito, si trovino ad essere vittime dell’usura e si vedano a volte costretti ad abbandonare le loro case e perfino i loro bambini. A tale riguardo, si suggerisce di creare strutture economiche di sostegno adeguato per aiutare tali famiglie o capaci di promuovere la solidarietà familiare e sociale.
92. La famiglia è «la cellula prima e vitale della società» (AA, 11). Essa deve riscoprire la sua vocazione a sostegno del vivere sociale in tutti i suoi aspetti. È indispensabile che le famiglie, attraverso il loro aggregarsi, trovino le modalità per interagire con le istituzioni politiche, economiche e culturali, al fine di edificare una società più giusta. Per questo vanno sviluppati il dialogo e la cooperazione con le strutture sociali, e vanno incoraggiati e sostenuti i laici che si impegnano, come cristiani, in ambito culturale e socio-politico. La politica deve rispettare in modo particolare il principio della sussidiarietà e non limitare i diritti delle famiglie. È importante a tal proposito considerare la “Carta dei diritti della Famiglia” (cf. Pontificio Consiglio per la Famiglia, 22 ottobre 1983) e la “Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo” (10 dicembre 1948). Per i cristiani che operano in politica l’impegno per la vita e la famiglia deve avere la priorità, giacché una società che trascura la famiglia ha perduto la sua apertura al futuro. Le associazioni familiari, impegnate nel lavoro comune insieme a gruppi di altre tradizioni cristiane, hanno tra i loro scopi principali, tra gli altri, la promozione e la difesa della vita e della famiglia, della libertà di educazione e della libertà religiosa, dell’armonizzazione fra il tempo per il lavoro e il tempo per la famiglia, la difesa delle donne nel lavoro, la tutela dell’obiezione di coscienza.
L’apertura alla missione
93. La famiglia dei battezzati è per sua natura missionaria e accresce la propria fede nell’atto di donarla agli altri, prima di tutto ai propri figli. Il fatto stesso di vivere la comunione familiare è la sua prima forma di annuncio. In effetti, l’evangelizzazione comincia dalla famiglia, nella quale non si trasmette soltanto la vita fisica, ma anche la vita spirituale. Il ruolo dei nonni nella trasmissione della fede e delle pratiche religiose non deve essere dimenticato: sono i testimoni del legame tra le generazioni, custodi di tradizioni di saggezza, preghiera e buon esempio. La famiglia si costituisce così come soggetto dell’azione pastorale attraverso l’annuncio esplicito del Vangelo e l’eredità di molteplici forme di testimonianza: la solidarietà verso i poveri, l’apertura alla diversità delle persone, la custodia del creato, la solidarietà morale e materiale verso le altre famiglie soprattutto verso le più bisognose, l’impegno per la promozione del bene comune anche mediante la trasformazione delle strutture sociali ingiuste, a partire dal territorio nel quale essa vive, praticando le opere di misericordia corporale e spirituale.