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III Domenica d'Avvento - LE PROFEZIE ADEMPIUTE

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Arcidiocesi di Milano

 

III domenica d’Avvento

Le profezie adempiute

Is 45,1-8; Sal 125 (126); Rm 9,1-5; Lc 7,18-28

 

Duomo di Milano, 2 dicembre 2012

 

Omelia di S.E.R. Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano

 

«Dio che viene»

Grandi cose ha fatto il Signore per noi

 

1. Il metodo di Dio

«Io ti ho chiamato per nome, ti ho dato un titolo, sebbene tu non mi conosca» (Lettura, Is 45,4). L’eletto a cui Dio si rivolge per bocca del profeta Isaia, è un pagano, il re Ciro di Persia. Certo, egli è colui che ha “liberato” dall’esilio il popolo di Israele e merita perciò grande considerazione, ma che sia dichiarato l’eletto del Signore è sorprendente fino ad essere scandaloso. A ben vedere è il metodo usato da Javhè ad essere scandaloso.

Ma Dio è più grande di quanto noi possiamo immaginare e conduce la storia secondo la Sua misura, non secondo la nostra.

L’universalità del disegno eterno (I Domenica) attuato in Gesù Cristo (II Domenica), si adempie secondo una dimensione che non è la nostra. Neppure il male sfugge al Suo potere salvifico di Dio: «Io formo la luce e creo le tenebre, faccio il bene e provoco la sciagura; io, il Signore, compio tutto questo» (Lettura, Is 45, 7). Noi non conosciamo il futuro. Conosciamo i fatti dopo che sono avvenuti (ex post), solo Dio, Onnipotente ed Onnisciente – come insegna il Catechismo della Chiesa cattolica ai nn. 268-278 –, conosce ogni cosa prima che avvenga (ex ante). Questi attributi di Dio sono la garanzia dell’unità della storia, in essa veramente il disegno universale si realizza (il titolo di questa III Domenica d’Avvento ambrosiano è: le profezie adempiute). Per questo la storia non è in balìa di un caso capriccioso.

 

2. Una libertà piena

Il metodo con cui Dio, operando nella storia, rivela il suo disegno di salvezza a favore dell’uomo, “spiazza” spesso l’uomo. Disorienta anche il Battista che pure, qualche tempo prima, aveva affermato «viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali» (Lc 3,16). Di fronte al modo di porsi di Gesù che rompeva le sue immagini e la sua misura, lo stesso Precursore sembra perplesso, fino a chiedersi se non occorreva attendere qualcun’altro.

Conviene riflettere sulla modalità singolare della reazione di Gesù. Egli non risponde direttamente, non fa una dichiarazione esplicita circa la sua identità, replica in modo implicito ma assai concreto: «Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!» (Vangelo, Lc 7,22-23). Egli è veramente il Messia promesso, Colui che il Battista aveva annunciato. Lascia parlare i fatti e ne suggerisce il significato (la loro corrispondenza con le profezie).

Cosa possiamo imparare dal modo con cui Gesù replica ai due discepoli di Giovanni? Il mistero si cela e si svela nei fatti. Noi sottovalutiamo i fatti: invece la realtà è la trama delle circostanze e dei rapporti, soprattutto di quelli con cui siamo chiamati ogni giorno a fare direttamente i conti. Nella vita personale e sociale circostanze e rapporti che concorrono a dispiegare la realta' davanti alla nostra liberta' sono il segno del Dio che viene, in cui dobbiamo saper vedere il disegno di Dio. L’esperienza cristiana ha questa “logica sacramentale” (cfr. FR 12-13). Solo in questa prospettiva si accende l’attesa. Perché? Perché in questa prospettiva si documenta che il Salvatore non schiaccia la libertà dell’uomo e dei popoli, ma la rispetta e la accompagna, facendola fiorire. È il metodo educativo dell’amore, che la madre Chiesa pratica, che ogni società civilizzata cerca, che i genitori e ogni autentico educatore conoscono bene. Gesù, rivelandosi ai discepoli del Battista attraverso le opere che compie, chiama in causa la nostra libertà, la liberta' del suo amato interlocutore, il suo co-agonista, l’uomo. Non ripeteremo mai abbastanza che è questo un metodo imprescindibile per un’autentica communio ecclesiale ed anche per una società plurale veramente civile.

Ma l’esaltazione della libertà non è ultimamente adeguata se l’uomo, in ogni scelta del suo libero arbitrio, non tende ad aderire personalmente alla verità (responsabilità). Solo questa libertà integrale potrà far maturare nella Chiesa cristiani autentici e nella nostra società uomini e donne capaci di bene comune.

In questo frangente storico assai delicato per il paese il pronunciamento del Consiglio episcopale milanese dal titolo “Nota in vista delle elezioni politiche ed amministrative” ha come unicoscopo la promozione di questa piena libertà.

 

3. Il più piccolo

È necessario ora esplicitare una inevitabile condizione per l’autentico esercizio della libertà: non si ama la libertà propria ed altrui senza pagare di persona il suo inestimabile prezzo. Per questo la liturgia odierna descrive il pellegrinaggio storico della Chiesa con le seguenti parole: «A Cristo Signore la Chiesa va incontro nel suo faticoso cammino, sorretta e allietata dalla speranza» (Prefazio). La fatica del cammino è il segno di una libertà veramente in azione. È un impegno reso possibile dalla speranza lieta, frutto del Dio che viene. Così l’attesa si fa invocazione: «O cieli, stillate rugiada, dalle nubi discenda giustizia; si schiuda la terra e germogli il Salvatore». Il Canto del Rorate riprende il canto del passaggio di Isaia.

Per lasciarci sorprendere invece di “scandalizzarci” del metodo di Dio è necessaria la povertà di spirito, la semplicità del cuore, quell’apertura davanti alla realtà che i più piccoli (non solo di età) ci testimoniano.

«Io vi dico: fra i nati da donna non vi è alcuno più grande di Giovanni, ma il più piccolo nel Regno di Dio è più grande di lui» (Vangelo, Lc 7,28). Questa affermazione, pronunciata con forte autorevolezza («Io vi dico»), suggella la risposta che Gesù dà ai discepoli del Battista.

Nel quadro indicato acquista tutto il peso l’elogio che Gesù compie del suo Precursore.

 

4. Partecipare alla passione di Cristo per tutti gli uomini

Lo struggimento perché Cristo sia riconosciuto implica il partecipare alla Sua passione per la salvezza universale nel rispetto dei tempi e dei modi che solo il disegno del Padre conosce. I cristiani condividono questo cammino faticoso con tutti gli uomini. Ed in modo singolare, come afferma l’Epistola, con il popolo eletto, da cui «proviene Cristo secondo la carne» (Epistola, Rm 9,4).

«Secondo l’Apostolo, gli Ebrei, in grazia dei padri, rimangono ancora carissimi a Dio, i cui doni e la cui vocazione sono senza pentimenti. Con i profeti e con lo stesso Apostolo, la Chiesa attende il giorno, che solo Dio conosce, in cui tutti i popoli acclameranno il Signore con una sola voce e lo «serviranno sotto lo stesso giogo (Sof 3,9)» (Nostra Aetate n 12).

Questa strada la diocesi ambrosiana continuerà a percorrere, con intensificata passione. Più che mai lo vogliamo fare oggi pregando per una pace equa fra Israele e la Palestina. E lo facciamo in tenace comunione con i fratelli cristiani che vivono quell’amata Terra, ancora terra del Venerdì santo.

 

5.«Grandi cose ha fatto il Signore per noi»

«Quando il Signore ristabilì la sorte di Sion, ci sembrava di sognare. Allora la nostra bocca si riempì di sorriso, la nostra lingua di gioia. … Chi semina nelle lacrime, mieterà nella gioia» (Salmo responsoriale). Anche la nostra semina sia umile ma decisa affinché il raccolto sia gioioso.

Ricordo i piccoli richiami pratici già indicati le domeniche scorse. Invito, in questa Novena dell’Immacolata, ad accostarci al Sacramento della Riconciliazione per ben prepararci al Santo Natale. Ad essi aggiungo l’urgenza della carità che si manifesti anche attraverso la partecipazione convinta alla Seconda fase del Fondo Famiglia-Lavoro.

L’attesa è certa, la speranza è sicura: per questo la letizia è l’atteggiamento dominante di chi ha fede e la comunica: «Come ogni profonda relazione amorosa il dono della fede chiede i linguaggi della gratitudine piuttosto che quelli del puro dovere, decisione di dedicare tempo alla conoscenza e alla contemplazione più che proliferazione di iniziative, silenzio più che moltiplicazione di parole, l’irresistibile comunicazione di un’esperienza di pienezza che contagia la società più che l’affannosa ricerca del consenso. In una parola: testimonianza più che militanza» (Lettera pastorale, 2. p 10).

O Padre, la vigilanza dell’Avvento ci veda «pervasi dal desiderio di risplendere come luci festose davanti al Cristo, il Figlio tuo che viene» (Dopo la comunione). Amen

 

Se vuoi vedere il Video clicca su Video III domenica d'Avvento - LE PROFEZIE ADEMPIUTE

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