Decanato San Siro - Sempione - Vercellina | Parrocchia Beata Vergine Addolorata in San Siro (MI)

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Catechesi Card. Angelo Scola Ecco l’uomo! (Stazioni I - III

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Arcidiocesi di Milano

 

Via Crucis con l’Arcivescovo

Stabat Mater dolorosa

 

«Ecco l’uomo!» (Stazioni I - III)

 

Gv 19,4-6; Is 53,4-6; Ger 20,10-11

Testi di Mario Luzi, Romano Guardini e il Beato Giovanni Paolo II

 

Duomo di Milano, 19 febbraio 2013

Martedì della prima settimana di Quaresima

 

 

Catechesi di S.E.R. Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano

 

 

 

La Madre è lì (Stabat Mater). Come fin dal primo istante dell’annuncio dell’angelo così al culmine della Sua Passione, Maria è lì ad accoglierLo e a portarLo nell’umanissimo gesto della Pietà. «La madre – diceva la Presentazione artistica iniziale – si riappropria del Figlio, lo vorrebbe riporre nel medesimo grembo che lo ha generato, perché caldo e vitale, e non freddo e mortale come la pietra che, irridente, lo aspetta».

Fissiamo ora lo sguardo su questa sconvolgente e attualissima Pietà – pietà è la parola con la quale la Chiesa ci ha insegnato a chiamare questo estremo gesto di Maria –. Michelangelo vi lavorò, in una esasperata tensione – continuando a tornare su parti ormai concluse, per distruggerne alcune e sbozzarne delle nuove – fino a pochi giorni prima di morire, nel 1564. Voleva immedesimarsi con questo gesto sublime d’amore, voleva farsi da esso contagiare.

«Ecco l’uomo!»: dolore e amore sembra dire la Madre in questo abbraccio-offerta di Cristo a noi, resi figli dal sacrificio del Figlio. In una sorta di ultima Presentazione che compie la prima Presentazione al Tempio e ne svela tutto il mistero di amore e di dolore.

«Ecco l’uomo!». In questo corpo che appare senza peso, come svuotato di ogni divino potere cogliamo l’impotenza di tutti gli uomini percossi e umiliati dalla violenza del male, fisico e morale. Un corpo sfinito dalla sofferenza, eppure da essa anche trasfigurato. Già vittorioso.

«Ecce homo». Contemplare quest’Uomo nel nostro cammino quaresimale diventa allora la strada che il Padre offre a ciascuno di noi per re-imparare, di persona e in comunione con i fratelli, chi è l’uomo.

Chi sono io? Chi è il cristiano? Chi è la comunità cristiana? Troppo spesso pensiamo di saperlo già. E così distogliamo lo sguardo distratti dall’Innocente Crocifisso, che ci «ha amato sino alla fine» (Invocazioni, I Stazione), da Colui che si è lasciato trattare da «peccato» per liberarci dal marchio del peccato, la morte, e restituirci allo splendore purissimo della Vita divina.

Lo crediamo veramente? Eppure questa è la nostra fede.

Ma seguiamo il primo tratto della via della Croce, passo dopo passo. Immedesimiamoci, lo ripeto, con essa qui ed ora.

 

I Stazione - Gesù è condannato a morte

 

Pilato, colui che doveva decidere non decide. Perché? Perché sull’affermazione della verità fa prevalere il calcolo: un’assoluzione dell’Innocente condannato dal Sinedrio avrebbe potuto scatenare disordini, assolutamente da evitare nei giorni di Pasqua, in cui una gran folla si riversava a Gerusalemme.

Così ad una pace del tutto precaria (ma sarebbe più giusto dire al “quieto vivere”) il procuratore romano sacrifica la giustizia. Ma nessuna pace può essere stabilita contro la verità.

Pilato si chiama fuori e consegna Gesù all’esaltazione rabbiosa della folla: «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io in lui non trovo colpa» (Gv 19,6). Il Figlio di Dio è abbandonato a una banda di uomini che «si eccitano tra di loro, si ubriacano di vendetta» (Luzi). Quanto Pilato in noi, ahimé! Quanto chiamarci fuori con atteggiamenti pilateschi anche nelle nostre comunità cristiane, nella nostra convivenza civile.

Sempre, fin dalle origini, il peccato innesca un meccanismo perverso che de-responsabilizza e de-solidarizza. La rottura della relazione con Dio trascina quella della relazione con sé stessi (Giuda, dice l’evangelista Matteo – cfr. Mt 27,5ss –, dopo aver cercato di restituire i trenta denari, andò ad impiccarsi) e la relazione con gli altri (i membri del Sinedrio si trincerano dietro la Legge e non vogliono sentire ragioni).

«Ecco l’uomo!» Recuperiamo uno sguardo vero sull’uomo contemplando l’Uomo della croce. Ridiamo spazio alla giustizia nei nostri rapporti personali, familiari e sociali. La dignità dell’altro lo esige irrevocabilmente. La vita buona non si può edificare senza giustizia. Per questo l’alto impegno con la giustizia è esigito dalla carità, e dalla carità riceve luce piena.

Questo è il contributo dei cristiani alla vita buona: praticare la giustizia nella carità. Come ha fatto l’Uomo della croce nutrendo la giustizia con la gratuità e amandoci di persona. Pagando di persona.

 

II Stazione - Gesù è caricato della croce

 

Mentre gli altri attori della scena, autogiustificandosi, si chiamano fuori e abbandonano Gesù all’irresponsabilità della folla «egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; … è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità» (Is 53, 4a e 5a).

Gesù invece, il Servo innocente, che non ha nessuna responsabilità del male, acconsente ad essere «castigato, percosso da Dio e umiliato» (Is 53, 4b). Accetta che ricada «su di lui l’iniquità di noi tutti» (Is 53, 6b). Ma il Figlio di Dio si è fatto uomo proprio in vista di questo farsi carico dei peccati di tutti gli uomini. Egli non è costretto ad addossarsi i peccati degli uomini, ma li prende liberamente su di Sé.

Colui che «va incontro alla croce e l’afferra deciso» (Guardini) è l’Innocente per eccellenza. Un altro non avrebbe potuto portarla con efficacia di sostituzione vicaria. Infatti quale uomo, per quanto si voglia straordinario, potrebbe avere in se stesso spazio sufficiente per far posto alle colpe del mondo intero? Una simile scelta – ha osservato acutamente von Balthasar – può essere compiuta soltanto da Colui che sta di fronte all’eterno Padre in una distanza divina, cioè il Figlio, il quale anche come uomo è Dio.

Sulla via della Croce Gesù si rivela come l’uomo compiuto. Si fa carico di tutti fino al più abietto tra gli uomini. L’uomo dei dolori, esperto nel patire, il Salvatore, si fa responsabile del mondo intero.

Lasciamoci coinvolgere. Prendiamoci cura gli uni degli altri. L’abisso d’amore di Gesù è inarrivabile e noi siamo così piccoli e fragili. Eppure la strada è più semplice di quanto possiamo pensare: educarsi a questa responsabilità nei confronti del mondo intero attraverso gesti concreti e regolari di gratuità (carità) a partire da chi ci è più prossimo.

 

III Stazione - Gesù cade la prima volta

 

«Il Signore è totalmente libero, senza alcuna paura. Nella croce vede il compito affidatogli dal Padre, la nostra salvezza. Questo egli vuole con tutta la forza del suo cuore» (Guardini).

Il Crocifisso accetta tutte le sfacciate ed insulse provocazioni: «”Se sei Dio, scendi giù”». Egli «vuole essere oltraggiato. Vuole vacillare. Vuole cadere sotto la Croce. Vuole. È fedele fino alla fine, fino nei minimi particolari a questa affermazione: “Non si faccia quello che io voglio, ma quello che vuoi Tu” (cfr Mc 14, 36)» (Beato Giovanni Paolo II).

Perché Cristo può agire così? Da dove Gli viene questa determinazione che a noi appare assurda, inconcepibile? Dalla potenza della Sua relazione con il Padre. Lo abbiamo sentito dal profeta Geremia: «Il Signore è al mio fianco come un prode valoroso, per questo i miei persecutori vacillerannoe non potranno prevalere» (Ger 20,11). È il potente legame d’amore con il Padre, nello Spirito Santo, che sostiene la volontà del Signore, il Suo fino alla fine.

«Non come voglio io, ma come vuoi tu». Questa – ce lo dice l’esperienza – è la logica dell’amore. Se riconosciamo il nostro legame con il Padre, in Cristo Gesù, anche noi sapremo andare fino alla fine.

«Questa è la vittoria che vince il mondo: la nostra fede» (1Gv 5,4).

 

Maria,

pietà elargita al genere umano,

hai accolto Gesù cadavere tra le braccia.

Maria,

abbraccia con la tua pietà anche noi peccatori.

Vergine Santa,

insegnaci l’obbedienza della fede,

infondici la fiducia dell’amore,

donaci speranza indomita. Amen.

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