Decanato San Siro - Sempione - Vercellina | Parrocchia Beata Vergine Addolorata in San Siro (MI)

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LETTERA PASTORALE IL CAMPO E' IL MODO 2013-2014 - 4. Gesù Cristo Evangelo dell'umano

 4 GESU' CRISTO EVANGELO DELL'UMANO

 

a) Interlocutori di tutti

 

Non c'è niente e nessuno che possa o debba essere estraneo ai seguaci di Cristo. Tutto e tutti possiamo incontrare, a tutto e a tutti siamo inviati. E questo perché ciascuno di noi, in quanto segnato dalle situazioni della vita comune, è nel mondo. Siamo, ci ha ricordato Papa Francesco, «chiamati a promuovere la cultura dell'incontro» (Rio de Janeiro, 27 luglio 2013).
Non dobbiamo pertanto costruirci dei recinti separati in cui essere cristiani. È Cristo stesso a porre la sua Chiesa ed i figli del Regno nel campo reale delle circostanze comuni a tutti gli uomini e a tutte le donne. Nel rinnovare questo impegno sappiamo di poter contare sull'eredità del ministero del cardina l Martini che ha osato confrontarsi con temi scottanti e con interlocutori credenti e non credenti.

b) Preceduti e attesi da Gesù


Il mondo è quindi il campo in cui è offerto l'incontro con Gesù, è suscitata la libertà di rispondere nella fede, è convocata la fraternità che fa dei molti una cosa sola.
Abitando il mondo i discepoli di Gesù sono quindi pieni di attenzione e di stupore, perché il loro sguardo non si ferma alla superficie talora sconcertante, non si lascia impressionare dalla cronaca spesso enigmatica e tragica, ma riconosce le tracce dell'opera compiuta da Dio in Gesù Cristo. Dovunque arrivi, il discepolo sa di essere preceduto e atteso da Gesù.
L'attenzione, di conseguenza, non va posta sul nostro "fare'; ma sul seme buono che il seminatore, Gesù, vi ha gettato. AI cuore della crisi di fede del nostro tempo c'è spesso l'aver smarrito, o almeno sbiadito, la coscienza della gratuità dell'incontro con Cri sto, che sempre ci precede e ci aspetta.


c) Chi vuoI essere l'uomo del terzo millennio?


Le domande dell'uomo contemporaneo sul senso della vita, lette a partire dalla situazione delle Chiese in Europa e dalle peculiarità del cristianesimo ambrosiano, ci conducono ad un interrogativo che ha il sapore di una scommessa: chi vuole essere l'uomo del terzo millennio? Come può vivere all'altezza dei propri desideri, ben consapevole delle inedite possibilità di cu i dispone? Come può evitare di "perdere se stesso" nel tentativo di guadagnare il "mondo intero"?


d) La nuova creatura


La persona di Gesù Cristo e la sua vicenda umana documentano come Dio, entrando nella storia, voglia fecondare con la sua presenza rinnovatrice tutta la realtà.
Anche oggi questa novità di vita può essere riconosciuta sui volti degli uomini e delle donne trasformati dalla fede: i "cristiani': coloro che per grazia hanno ricevuto in dono la stessa vita di Gesù e Lo seguono nel quotidiano.
Si profila quella che san Paolo chiama «una creatura nuova» (2Cor 5,17). La consapevolezza di questa novità di vita conduce tutti i fedeli, che Gesù Cristo Evangelo dell'umano l'hanno incontrata nelle diverse forme di realizzazione della Chiesa, a proporre il rapporto con Gesù, verità vivente e personale, come risorsa decisiva per il presente e per il futuro.
Non si t ratta di un progetto, tanto meno di un calcolo. Pieni di gratitudine i cristiani intendono "restituire" il dono che immeritatamente hanno ricevuto e che, pertanto, chiede di essere comunicato con la stessa gratuità.


e) «Vieni e vedi»


Ogni fedele ed ogni realtà ecclesiale della Diocesi sono invitati a rileggere il senso della esistenza cristiana alla luce di questa urgenza ad uscire da se stessi per entrare in I/campo aperto': 

Quando la comunità ecclesiale vive, come indica la Lettera pastora le dello scorso anno "Alla scoperta del Dio vicino'; perseverando nel pensiero di Cristo, nella comunione sincera, nella celebrazione eucaristica in una piena apertura a tutta la realtà, essa può con franchezza e gioia, senza alcun artificio o forzatura, proporre questo incontro in ogni momento e a chiunque: «Vieni e vedi» (Gv 1,46).
Nella comunione ecclesiale così intesa, ogni differenza viene pienamente valorizzata perché fa brillare l'unità per cui Gesù ha pregato affinché «il mondo creda» (Gv 17,21 ).Infatti, quando la comunione non è un optional, ma concreto metodo di vita, le differenze arricchiscono ed edificano la vita di tutti, suscitando il fascino della proposta cristiana in tutti gli ambiti della vita quotidiana.


f) Testimoni del Risorto


Come si realizza questo uscire da se stessi per portare a tutti l'Evangelo dell'umano? Rischiando la propria libertà, esponendo se stessi. Il Vangelo, soprattutto quello di Giovanni, chiama questo testimonianza.
Un termine a prima vista chiarissimo, ma a ben vedere spesso sottoposto a riduzioni. Una testimonianza che si riduca alla sola, pur importante, coerenza del singolo con alcuni principi di comportamento, non risulta convincente. Il necessario "buon esempio" non basta per renderci testimoni autentici. Si è testimoni, ha insegnato Benedetto XVI, quando «attraverso le nostre azioni, parole e modo di essere, un Altro appare e si comunica. Si può dire che la testimonianza è il mezzo con cui la verità dell'amore di Dio raggiunge l'uomo nella storia,
invitandolo ad accogliere liberamente questa novità radicale. Nella testimonianza Dio si espone, per così dire, al rischio della libertà dell'uomo. Gesù stesso è il testimone fedele e verace (cf. Ap i ,5; 3, 14); è venuto per rendere testimonianza alla verità (cf. Gv 78,37)>> (Sacramentum Caritatis 85).

Il testimone rinvia a Cristo, sommamente amato, non a sé. Per questo non mortifica la libertà dell'altro, non è schiavo dei risultati, non isola e non divide. Il testimone fa crescere la libertà, soprattutto la libertà da se stessi, dal proprio progetto, dal l'immagine di sé che si sogna. Il testimone impara a conoscere in modo appropriato la realtà, ne scopre, su lla propria pelle, la verità e la comunica ai fratelli. Cristo crea amicizia, genera comunione. In quanto testimone il cristiano non può chiamarsi fuori dalla vita, né prender le distanze dai suoi fratelli; la testimonianza stabilisce legami e crea luoghi di convivenza, dove sia possibile sperimentare una umanità rinnovata, un modo più
vero di "sentire" la vita, di essere amati e di amare.
Guardare a Maria Vergine, a san Giuseppe e a tutti i santi ci fa capire, meglio di ogni definizione, chi siano i testimoni. L'Evangelo incarnato nella loro vita manifesta in pienezza quanto sia desiderabile seguire Cristo e proporLo in ogni ambiente dell'umana esistenza: «La missione nasce proprio da questo fascino divino, da questo stupore dell'incontro» (Papa Francesco, Incontro con l'episcopato brasiliano, 27 lug lio 2013).


g) Un'apertura a 360°


Il testimone, quando è autentico, fa sempre spazio all'interlocutore e a tutte le sue domande, di qualunque tipo esse siano: «Non ci sono confini, non ci sono limiti» (Papa Francesco, Santa Messa per la XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù, 28 luglio 2013). Non è certo un ripetitore di teorie o di dottrine cristallizzate, ma vive delle stesse domande del suo interlocutore, poiché è immerso in quel medesimo campo che è il mondo. Non esistono infatti domande dei nostri contemporanei che non siano nostre; le "periferie esistenziali" - per usare l'espressione di Papa Francesco 
- sono anzitutto i confini della nostra stessa esperienza umana.
In questa prospettiva, aprendoci al confronto leale con tutti e in tutti gli ambienti dell'umana esistenza, tesi a lasciarci fecondare da un autentico ascolto faremo maturare ii buon seme seminato nel campo. Se la fede si rafforza donandola, la testimonianza consente di gustare ancora di più la bellezza della vita cristiana.


h) Un nuovo umanesimo


L'impegno del cristiano non è un'estenuante ricerca di nessi tra il Vangelo e la vita, come se fossero due realtà disgiunte e da mettere artificiosamente insieme. È assai più semplice. Consiste nel documentare in prima persona che Gesù è «via, verità e vita» (Gv 14,6). Come annota acutamente il nostro padre Ambrogio: «Cristo è nostro, perché è lo vita» (Esposizione del Vangelo secondo Luca VI I, 246).
Il "cattolicesimo popolare ambrosiano" è chiamato pertanto a radicarsi più profondamente nella vita degli uomini attraverso l'annuncio esplicito della bellezza, della bontà e della verità di Gesù Cristo all'opera nel mondo: «Nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto la Chiesa perpetua e trasmette a tutte le generazioni tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede» (Dei Verbum 8).
Anche all'inizio di questo terzo millennio Gesù Cristo è feconda radice di un nuovo umanesimo. In tal modo l'incontro gratuito con Cristo si mostra in tutta la sua corrispondenza all'umano desiderio di pienezza. A tal punto che la necessaria verifica dell'autenticità della fede consiste proprio nella scoperta che essa "conviene" al cuore dell'uomo.


i) Liberi dall'egemonia


Paolo VI disse che «l'uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni» (Evangelii Nuntiandi 41). Per il testimone in primo piano non c'è quello che possiede (doti e capacità), ma quello che ha ricevuto. Per questo è un uomo libero, che sa stare davanti a tutti, senza farsi ricattare dall'esito della propria azione perché sa di essere servo inutile del Signore della storia. Con le sue parole, Papa Montini, la cu i beatificazione attendiamo con fervore, intendeva invitare il testimone ad esporre se stesso, evitando ogni egemonia.
I cristiani non cercano la vittoria della propria parte. AI di là degli errori commessi lungo la storia essi accettano ciò che Dio concede al la famiglia umana. Possono essere, di volta in volta, maggioranza costruttiva o minoranza perseguitata, ma ciò cui sono chiamati è solo l'essere presi a servizio del disegno buono con cui Dio accompagna la libertà degli uomini.


j) Cristiani nel quotidiano


Lo stile del testimone, sull'esempio di Gesù, domanda l'esercizio costa nte della vita come comunione centrata su l "dono totale di sé" ai fratelli (cf. Giovanni Paolo Il, Redemptor hominis 9-10). In questi convulsi tempi di cambiamento le tre dimensioni della comune ed elementare esperienza umana - affetti, lavoro, riposo - provocano tutti i fedeli della nostra Diocesi ad una verifica non più rinviabile.
Nel campo degli affetti non manca il seme buono seminato dal Figlio dell'uomo. Il Vangelo visita gli affetti e li porta a compimento proponendo il comandamento dell'amore che da affettivo diventa effettivo: «La fede fa comprendere l'architettura dei rapporti umani perché ne coglie il fondamento ultimo e il destino definitivo in Dio, nel suo amore» (Lumen fidei 51). Il "per sempre" e la fe condità
dell'amore - nel matrimonio, inteso come l'unione indissolubile di un uomo e una donna aperta alla vita, e nella verginità consacrata - è
quindi il compimento del bisogno e del desiderio di ciascuno di essere amato e di amare.
Non possiamo perciò evitare di interrogarci: perché la parola cristiana sull'amore appare così poco attraente per la sensibilità del nostro tempo? Perché la definitività sembra più temuta che desiderata? Quali forme di accompagnamento possono educare fin dall'adolescenza a intendere la vita come vocazione e l'amore come decisione per sempre? Invito gli educatori, i genitori, gli insegnanti a porsi queste domande, a lasciarsi provocare a verifica re la propria testimonianza, a confrontarsi con le diverse sensibilità presenti nel l'ambiente in cui operano. 
I cristiani hanno la responsabilità di essere il seme buono anche nel campo del lavoro facendosi eco dell'apprezzamento di Dio per l'intraprendenza e la laboriosità umana, praticando la giustizia e la solidarietà come virtù irrinunciabili ed esercitando la propria professione come una vocazione. I cristiani hanno il dovere di vivere nell'ambiente quotidiano del lavoro come discepoli . che non nascondono la loro fede, la condividono con gli altri fratelli e ne offrono testimonianza a tutti. Nel delicato frangente storico che il nostro paese attraversa, i cristiani devono impegnarsi con maggior rigore ed energia in quell'eminente forma di carità che è la politica.
Non possiamo perciò evita re di interrogarci: perché la dottrina sociale della Chiesa viene spesso apprezzata come un sogno irrea listico invece che come orientamento promettente anche per le scelte che riguardano il lavoro? Perché si ha l'impressione che i cristiani che si riconoscono alla celebrazione domenica le del l'Eucaristia si ignorino nell'ambiente di lavoro?
Invito tutti i cristiani che lavorano nelle fabbriche, negli uffici, nei centri di ricerca, nei servizi pubblici, nelle strutture sanitarie, scolastiche, finanziarie, insomma in ogni settore, a porsi queste domande, lasciandosi provocare a verificare la propria testimonianza, confrontandosi sullo stile personale e comunitario della loro presenza, sulla verità delle loro scelte, sul coraggio e la lungimiranza delle loro proposte.
I cristiani hanno la responsa bilità di essere il seme buono anche nel campo del riposo. Conoscono infatti che la condizione più desiderabile per il riposo è la comunione, quella grazia di sapersi a casa nella relazione buona che lo Spirito di Dio sa costrui re facendo dei molti una cosa sola. Perciò il nome cristiano del riposo è la festa e il cuore della festa è la celebrazione eucaristica.
È offerta così la possibilità non solo di staccare dal lavoro e di interrompere la fatica, ma di una rigenerazione che rende la persona pronta per ogni opera buona. La domenica eredita tutto il valore del sabato biblico e tutta la novità cristiana e ritma il tempo con l'irrinunciabile memoria delle opere di Dio e della sua presenza: è quindi il tempo della lode, della intercessione, della speranza, della condivisione e della letizia. È la festa cristiana.
Non possiamo perciò evitare di interrogarci: perché il significato della festa cristiana è così smarrito tra i cristiani stessi? Se l'Eucaristia domenicale è il centro della festa ed è ciò che la rende bella, come avviene che sia così comune la distrazione? Se il riposo e la festa hanno il loro principio nella comunione, perché la domenica è così spesso motivo di dispersione?
Invito le comunità cristiane a porsi queste domande, a verificare il modo di celebrare l'Eucaristia domenicale, a curare le espressioni della vita della comunità. La convinzione che la domenica sia un bene per tutti deve motivare i cristiani anche a quell'opera di persuasione per cui tutti ne possano beneficiare, evitando di cedere a logiche esclusivamente commerciali ed efficientistiche. Non è raro infatti che orari di lavoro e metodi di produzione possano compromettere la vita familiare, l'equilibrio delle persone, la possibilità di partecipare alla vita della comunità.

 

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